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Diciamoci la verità: il mondo si divide sempre più in due, tra chi alza la voce contro le ingiustizie e chi, nel frattempo, continua a incassare profitti. Recentemente, i ministri degli esteri di ben 28 paesi hanno firmato una dichiarazione che chiede la fine della guerra di Israele contro Gaza. Ma cosa succede realmente nei loro rapporti commerciali con Tel Aviv? La realtà è meno politically correct: molti di questi paesi non solo hanno rapporti commerciali con Israele, ma continuano a beneficiare delle loro relazioni economiche senza alcuna conseguenza tangibile per le azioni militari in corso.
Il paradosso della condanna e del commercio
Il conflitto ha causato morti e sofferenze inimmaginabili: oltre 59.821 palestinesi uccisi e 144.477 feriti. Eppure, mentre alcuni paesi si affrettano a esprimere la loro indignazione, non esitano a mantenere scambi commerciali con Israele. Paesi come Belgio, Francia, Giappone e Italia, solo per citarne alcuni, hanno scambi commerciali superiori a un miliardo di dollari con Israele. I dati del 2023 mostrano che i principali prodotti importati ed esportati includono automobili, circuiti integrati e persino profumi. Facciamo un po’ di conti: l’Irlanda importa principalmente circuiti integrati per un valore di circa 3,58 miliardi di dollari. E l’Italia? Con 3,49 miliardi di dollari di esportazioni verso Israele, è il paese che esporta di più tra quelli che hanno firmato la dichiarazione.
Questa contraddizione non è sfuggita agli osservatori. Mentre alcuni paesi, come Irlanda e Spagna, hanno riconosciuto la Palestina nel 2024 e si sono espressi contro le azioni israeliane, continuano a commerciare con Tel Aviv come se nulla fosse. Insomma, è facile condannare a parole, ma i fatti parlano chiaro: il denaro continua a circolare.
Le conseguenze della guerra e il silenzio complici
Oren Marmorstein, portavoce del Ministero degli Affari Esteri israeliano, ha liquidato la dichiarazione dei 28 paesi come “disconnessa dalla realtà”. La verità è che, mentre si invocano cessi di fuoco e si chiede il rilascio incondizionato degli ostaggi, la situazione a Gaza continua a deteriorarsi. La fame è diventata un’arma silenziosa, e le organizzazioni umanitarie segnalano un numero crescente di bambini a rischio di malnutrizione. Persino figure di spicco come Hillary Clinton hanno iniziato a esprimere preoccupazione per la crisi umanitaria. Eppure, le promesse di aiuto rimangono sulla carta mentre i camion carichi di viveri aspettano di attraversare il confine.
Le “pause tattiche” annunciate da Israele sembrano più una manovra strategica che un reale intento di alleviare la sofferenza. Anche durante queste pause, si registrano nuovi attacchi, come dimostrato dai recenti rapporti del Ministero della Salute palestinese che parlano di morti per fame e malnutrizione. Il totale? 133 decessi, di cui 87 bambini. Queste statistiche non possono semplicemente essere ignorate.
Riflessioni finali: un invito al pensiero critico
La realtà è chiara: le parole sollevate da questi paesi sono spesso vuote di significato. La condanna a parole è facile, ma agire e prendere posizione quando il denaro è in gioco è un’altra questione. Mentre i leader mondiali si affrettano a esprimere la loro indignazione, la loro complicità continua a rimanere nell’ombra. È tempo di chiedersi: fino a quando continueremo a tollerare questa ipocrisia? È fondamentale che noi, come cittadini informati, analizziamo e critichiamo queste contraddizioni. La verità è che il commercio e la politica non possono rimanere due mondi separati, e chi denuncia deve essere pronto ad agire in modo coerente.