Argomenti trattati
Lampedusa, un’isola che costituisce un crocevia di storie, accoglie i migranti con un saluto che simboleggia la vita: O’scià, che significa respiro. Questo luogo, spesso associato a tragedie umane, racchiude in sé un mosaico di esperienze che meritano di essere esplorate e comprese.
In compagnia di Giulia Cicoli, cofondatrice di Still I Rise, ci si è recati a Lampedusa a fine luglio con l’intento di osservare da vicino questa terra che segna l’inizio e la fine di tanti viaggi.
L’obiettivo era chiaro: comprendere le sfide e le realtà quotidiane che i migranti affrontano su questa soglia d’Europa.
Il paradosso di Lampedusa
Questa isola presenta un contrasto sorprendente: mentre le nuove vite dovrebbero nascere, qui non esistono ostetriche e le donne locali devono recarsi in altre città per partorire. I neonati che vedono la luce a Lampedusa sono principalmente figli di donne migranti, nati durante gli sbarchi. Se il nascere è raro, il morire è tragicamente comune, come dimostrano le notizie di naufragi che continuano a colpire i cuori di chi vive qui.
Memorie di vite perdute
Al cimitero dell’isola, si incontrano tombe anonime e storie dimenticate, custodite in celle frigorifere in attesa di un dignitoso riconoscimento. Queste vite non diventano notizie, ma rimangono impresse nella memoria collettiva di Lampedusa, un monito silenzioso del costo umano delle migrazioni.
Il momento degli sbarchi
Durante la visita, si sono osservati gli sbarchi dei migranti. In pochi minuti, uomini, donne e bambini vengono condotti al molo, mentre le forze dell’ordine e operatori umanitari osservano. La loro prima richiesta è spesso: «Avete Wi-Fi?». Questo dettaglio, apparentemente banale, evidenzia un bisogno fondamentale: far sapere ai propri cari che sono ancora vivi, dopo aver affrontato il silenzio e la paura del mare.
Umanità in azione
Accanto a loro, i membri della società civile offrono piccoli gesti di umanità, come ciabatte e tè caldo. Tuttavia, il tempo è stretto: entro 24 ore, i migranti vengono trasferiti altrove. In un arco di tempo così ridotto, come è possibile garantire informazioni sui diritti, fornire assistenza e riconoscere le vulnerabilità? Questa è la grande interrogativo che lascia pensierosi: la frontiera non è mai neutra, ma un dispositivo che seleziona, incasella ed esclude.
Rinascita e speranza
Tuttavia, Lampedusa non è solo un luogo di sofferenza. Si è avuto il privilegio di incontrare Agricola Mpidusa, una cooperativa che, nonostante le avversità, pianta semi e genera lavoro, creando una comunità vibrante. Questa iniziativa dimostra che, anche in un’isola segnata da passaggi e partenze, ci sono forze che resistono e costruiscono un futuro migliore.
Il viaggio si è concluso alla Porta d’Europa, un monumento che guarda il mare e rappresenta l’inizio e la fine di tanti percorsi. È qui che si è compreso il motivo della visita: raccogliere un filamento di speranza che non deve spezzarsi.
Seguire il percorso delle migrazioni
Come organizzazione, Still I Rise si impegna a seguire le traiettorie delle migrazioni. Da Lampedusa, punto di approdo, si continuerà a monitorare cosa accade nei centri di accoglienza in Sicilia e nelle città italiane dove i migranti cercano di ricostruire le proprie vite, affrontando le barriere invisibili che spesso si frappongono lungo il loro cammino.
Una riflessione necessaria
La migrazione non è un fenomeno isolato o un’emergenza temporanea: è un fenomeno strutturale che attraversa i confini e coinvolge tutti. Narrare queste storie significa restituire una rappresentazione veritiera di questo sistema, evidenziando sia i successi sia le mancanze, che non colpiscono solo i migranti, ma rivelano anche le fragilità e le contraddizioni dell’Italia.
In compagnia di Giulia Cicoli, cofondatrice di Still I Rise, ci si è recati a Lampedusa a fine luglio con l’intento di osservare da vicino questa terra che segna l’inizio e la fine di tanti viaggi. L’obiettivo era chiaro: comprendere le sfide e le realtà quotidiane che i migranti affrontano su questa soglia d’Europa.0