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Il contesto dell’inchiesta
Il caso di Alessia Pifferi ha scosso l’opinione pubblica italiana, portando alla luce questioni di grande rilevanza sociale e giuridica. La 39enne è stata condannata in primo grado per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di soli 18 mesi. La tragedia ha sollevato interrogativi non solo sulla responsabilità della madre, ma anche sul ruolo delle professioni sanitarie e legali coinvolte nel suo percorso.
L’udienza preliminare, fissata per il prossimo primo luglio davanti al gup di Milano, Roberto Crepaldi, segna un nuovo capitolo in questa complessa vicenda.
Le accuse contro le psicologhe
Il pubblico ministero Francesco De Tommasi ha richiesto il rinvio a giudizio per quattro psicologhe, alcune delle quali operano presso il carcere di San Vittore, e per l’avvocata Alessia Pontenani. Le accuse riguardano il falso e il favoreggiamento, con l’accusa che Pifferi sarebbe stata “manipolata” per ottenere una perizia psichiatrica favorevole. Questo aspetto solleva interrogativi sulla professionalità e sull’etica delle figure coinvolte, che dovrebbero garantire il benessere dei loro assistiti, piuttosto che contribuire a una distorsione della verità.
Le intercettazioni e le difese
Le indagini hanno rivelato l’esistenza di intercettazioni che potrebbero rivelarsi decisive. In una di queste, Pifferi menziona di essere a conoscenza di “un piano”, il che suggerisce una possibile premeditazione o, al contrario, una manipolazione da parte di terzi. Le difese, tra cui quella dell’avvocato Mirko Mazzali, si preparano a smontare le accuse, puntando a dimostrare l’innocenza delle professioniste coinvolte. Questo scontro legale non solo avrà ripercussioni sul destino delle accusate, ma anche sull’immagine delle professioni sanitarie e legali in Italia.