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Il 31 agosto, una flotta di cinquanta imbarcazioni, accompagnate da settecento attivisti, ha preso il mare con un obiettivo ambizioso: portare aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Questo segna il più grande tentativo di rompere l’assedio israeliano e offrire soccorso a una popolazione in grave difficoltà. Solo a Genova, in cinque giorni, sono state raccolte oltre trecento tonnellate di forniture.
Eppure, Israele ha già annunciato piani per bloccare il convoglio, etichettando gli attivisti come “terroristi”. Per capire meglio questa missione, abbiamo parlato con Maria Elena Delia, portavoce del movimento in Italia.
Origini della Global Sumud Flotilla
L’iniziativa della Global Sumud Flotilla è nata dopo il ritorno della Global March to Gaza, avvenuta a metà giugno. Durante quella marcia, migliaia di persone hanno cercato di attraversare pacificamente il valico di Rafah, dove gli aiuti umanitari erano stati precedentemente consentiti. Al rientro dall’Egitto, i partecipanti hanno avvertito il potere di un movimento internazionale coeso, ora noto come Global Movement to Gaza. Non riuscendo ad aprire un corridoio umanitario via terra, il gruppo ha deciso di tentare la via mare, ispirandosi agli sforzi della Freedom Flotilla Coalition dal 2008. La grande novità di questa operazione è la scala: quasi cinquanta barche e tra le 600 e 700 persone a bordo, un chiaro messaggio politico ai governi e alle istituzioni che rimangono silenziosi da troppo tempo.
Il messaggio dell’iniziativa è chiaro: dire no al genocidio, rompere il blocco di Gaza e chiedere la riapertura dei corridoi umanitari. I partecipanti non si fermeranno di fronte al rischio, pronti a intraprendere una missione pericolosa per portare aiuti a chi ne ha bisogno. Ma ti sei mai chiesto quali conseguenze possa avere un gesto così audace in un contesto così complesso?
Critiche e risposte
Non mancano le critiche. Alcuni detrattori definiscono l’iniziativa velleitaria, lamentando la scarsa presenza di palestinesi a bordo e insinuando che non ci sia consenso palestinese. Maria Elena Delia, però, chiarisce che uno dei promotori dell’iniziativa è palestinese e che molti palestinesi si trovano effettivamente a bordo. Inoltre, la flotta racchiude rappresentanti di oltre 44 paesi, dimostrando un sostegno internazionale significativo. Delia sottolinea che, dal 1948, la situazione in Palestina è nettamente peggiorata, suggerendo che anche altre modalità di intervento non hanno prodotto risultati soddisfacenti. Infatti, le barche della Freedom Flotilla hanno tentato di raggiungere Gaza dal 2008, con l’intento di fare la differenza.
In risposta alle critiche, Delia afferma: “Se restiamo a dire che non serve a niente, allora non faremo nulla”. La missione è legittima e legale, navigando in acque internazionali, e i partecipanti si aspettano un sostegno dal governo italiano, soprattutto dopo le minacce del ministro israeliano della Sicurezza nazionale, Ben Gvir. E tu, cosa pensi di una simile iniziativa? Può davvero cambiare le cose?
Supporto internazionale e speranze future
Nonostante il silenzio della maggior parte dei governi, alcuni leader, come il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e il presidente colombiano Gustavo Petro, hanno espresso solidarietà. Questi messaggi politici, sebbene non traducibili in aiuti concreti, sono significativi nel contesto attuale. Delia sottolinea che ogni dichiarazione pubblica di sostegno deve essere onorata, e spera che le autorità italiane si attivino per proteggere i cittadini in caso di necessità.
In caso di intercettazione, il gruppo è stato addestrato a mantenere un comportamento non violento, alzando le mani e rifiutando di tornare indietro. Delia afferma: “Israele non ha la potestà di imporre decisioni in acque internazionali”. È cruciale che i governi intervengano per garantire i diritti dei partecipanti e non creare un pericoloso precedente di violazione delle norme internazionali.
Infine, un appello per la solidarietà è rivolto a tutti coloro che sostengono questa causa: “Scendete in piazza e chiedete interventi in caso di blocco delle comunicazioni”. Il messaggio è chiaro: uniti, possiamo fare la differenza. Tu sei pronto a unirti a questa causa e a far sentire la tua voce?