La libertà di stampa, pilastro fondamentale di ogni democrazia, in Italia ha pagato un prezzo altissimo. Cronisti e giornalisti d’inchiesta, impegnati a svelare verità scomode sulla mafia, sul terrorismo e sulla corruzione politica, sono stati spesso bersaglio di minacce, aggressioni e persino omicidi. Ogni attentato, ogni intimidazione racconta non solo la pericolosità del lavoro d’inchiesta, ma anche il coraggio di chi sceglie di affrontare il rischio pur di informare i cittadini.
Dalla scomparsa di Mauro De Mauro negli anni Settanta alle recenti minacce a Sigfrido Ranucci, la storia italiana è segnata da episodi che testimoniano quanto sia fragile, ma allo stesso tempo vitale, la libertà di parola. Questo percorso di memoria e resistenza aiuta a comprendere il valore della stampa libera e l’urgenza di difenderla da chi cerca di zittirla con la violenza.
Minacce e attentati ai giornalisti: un fenomeno persistente
L’attentato subito dalle auto di Sigfrido Ranucci è stato subito definito tra i più gravi episodi di intimidazione ai danni dei cronisti. Un gesto simile non si vedeva dai tempi in cui erano presi di mira i giornalisti impegnati contro la camorra, come Rosaria Capacchione e Roberto Saviano. Proprio Saviano e Capacchione furono bersaglio, a partire dal 2008, di minacce provenienti dall’aula giudiziaria durante il maxiprocesso Spartacus a Napoli, ordinate dal boss dei Casalesi Francesco Bidognetti e dal suo avvocato Michele Santonastaso.
Dopo 16 anni di paura, il 14 luglio scorso la Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne, consentendo ai due giornalisti di respirare un sollievo tra lacrime e applausi.
Minacce, intimidazioni, omicidi: tutti i giornalisti nel mirino, da Saviano a Costanzo
La storia del giornalismo italiano è segnata da episodi di intimidazione e violenza che hanno colpito cronisti e conduttori impegnati nella denuncia di mafia, terrorismo e corruzione. Tra i più recenti, l’attentato subito da Sigfrido Ranucci il 16 ottobre 2025 a Pomezia, con l’esplosione dell’auto davanti alla sua abitazione, ha suscitato grande indignazione e solidarietà, ricordando la fragilità della vita di chi indaga la verità.
Nel 2008 Roberto Saviano e Rosaria Capacchione furono minacciati pubblicamente dal boss dei Casalesi Francesco Bidognetti e dal suo avvocato durante il maxiprocesso Spartacus a Napoli, con la conferma delle condanne arrivata solo nel 2025.
Più indietro, il 14 maggio 1993 Maurizio Costanzo sfuggì a un attentato mafioso a Roma, quando una Fiat Uno imbottita di tritolo fu parcheggiata sulla strada che percorreva abitualmente; cinque anni prima, Mauro Rostagno, giornalista e attivista di Trapani, venne assassinato da sicari mafiosi per le sue inchieste sulle infiltrazioni criminali locali.
A Napoli, il 23 settembre 1985, Giancarlo Siani fu ucciso dalla camorra per un articolo che rivelava alleanze tra boss locali, mentre Giuseppe Fava a Catania, il 5 gennaio 1984, venne assassinato con cinque colpi di pistola dopo aver denunciato collusioni tra mafia e politica.
Walter Tobagi, cronista del Corriere della Sera, fu ucciso dalle Brigate Rosse il 28 maggio 1980 a Milano, mentre Peppino Impastato, giornalista e attivista antimafia, venne fatto esplodere dalla mafia a Cinisi il 9 maggio 1978. Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa, morì a Torino il 29 novembre 1977 dopo un attentato delle Brigate Rosse, e Mauro De Mauro scomparve a Palermo il 16 settembre 1970 mentre indagava sulla morte di Enrico Mattei. Sempre nel 1977, Emilio Rossi, direttore del Tg1, e Indro Montanelli furono vittime di attentati delle Brigate Rosse a Roma e Milano, segnando una stagione in cui il terrorismo colpiva chi cercava di raccontare la verità.
Questi episodi testimoniano il coraggio dei giornalisti italiani e il prezzo altissimo che hanno pagato per la libertà di informazione, tra minacce, aggressioni e omicidi, lasciando un’eredità di memoria civile e resistenza alla violenza.