Argomenti trattati
Diciamoci la verità: la musica classica in Iran è un campo di battaglia in cui arte e politica si intrecciano in modi sorprendenti. Dopo la rivoluzione del 1979, gli iraniani si trovarono a vivere un paradosso: un patrimonio musicale ricco e variegato venne represso in nome di una nuova ideologia. Ma cosa è successo realmente a quella musica che un tempo risuonava liberamente nelle strade di Teheran?
La repressione e il ritorno della musica
Il re è nudo, e ve lo dico io: la musica, da sempre parte integrante della cultura iraniana, venne bandita, lasciando il popolo in un silenzio assordante. Solo con l’inizio della guerra Iran-Iraq, i leader rivoluzionari si resero conto che la musica poteva fungere da strumento di propaganda e morale, riaprendo le porte alla musica tradizionale e religiosa. Ma per i musicisti, la confusione regnava sovrana: cosa era lecito suonare? La musica classica, pur priva di testi contestabili, era vista con sospetto, affondando le sue radici in una cultura “occidentale” che il regime disprezzava.
Le sanzioni internazionali complicarono ulteriormente la situazione: gli artisti faticavano ad ottenere strumenti, e molti di loro si ritrovavano a suonare musica clandestina, mescolando tradizione e innovazione. Prendiamo ad esempio Mohammad-Reza Lofti, che tornò in Iran dopo aver vissuto a Firenze, dove si dice che provasse a imparare l’italiano dai termini musicali. Una situazione che, oggi, sembra quasi surreale. Ma come possono i musicisti continuare a creare in un contesto così opprimente?
La musica come strumento di protesta
La realtà è meno politically correct: in Iran, la musica classica non è mai stata relegata a un mero studio accademico. Al contrario, si è trasformata in un potente mezzo di protesta. In un contesto in cui le parole potrebbero costare la libertà, le note diventano linguaggio di resistenza. Pensate al Fajr International Music Festival, dove artisti iraniani e internazionali si incontrano, nonostante il rischio di censura. Eppure, ci sono sempre artisti che vengono respinti per capriccio di un regime che oscilla tra il terrore e l’apatia.
Un esempio emblematico è rappresentato da Riccardo Muti, che nel 2017 ha diretto un concerto con musicisti iraniani al National Garden di Teheran, un atto che prova a costruire ponti in un mare di divisioni. Eppure, il regime continua a temere la musica, come dimostrano le cancellazioni dell’ultimo minuto di concerti e spettacoli. Ma come può la musica essere vista come una minaccia da chi detiene il potere?
Un futuro incerto ma speranzoso
So che non è popolare dirlo, ma la musica classica in Iran potrebbe rappresentare un futuro diverso. La crescente domanda di cultura e arte, nonostante le limitazioni imposte, suggerisce che il desiderio di espressione è più forte della repressione. Ogni nota suonata è un atto di ribellione, ogni concerto una sfida al regime. La storia della musica classica iraniana è una storia di resilienza, di artisti che continuano a lottare per la loro libertà espressiva.
La musica, in fondo, è un linguaggio universale. In un contesto in cui le parole possono essere pericolose, le note possono aprire spazi di dialogo e comprensione. E così, nel turbinio di eventi che caratterizza l’Iran moderno, la musica classica continua a risuonare, sperando di superare le barriere e di ispirare una nuova generazione in cerca di libertà. Ma ci riuscirà davvero?