Il caso di Alessia Pifferi e della figlia Diana evidenzia il dramma estremo dell’abbandono infantile. Lasciare un bambino da solo, privandolo di cure e protezione, può avere conseguenze letali: nel luglio 2022, la piccola Diana è morta di stenti dopo sei giorni in casa, con solo acqua e latte a disposizione. Oggi è stata emessa la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano.
La morte della piccola Diana e il processo per Alessia Pifferi
Diana, la figlia di 18 mesi di Alessia Pifferi, è morta nell’estate del 2022 dopo essere stata lasciata sola in casa per sei giorni, con a disposizione soltanto una bottiglietta d’acqua e un biberon di latte. La bambina è stata trovata in condizioni disumane, senza alcuna assistenza, durante il caldo opprimente di luglio a Milano.
La procura generale aveva ribadito la piena capacità di intendere e di volere di Pifferi, sostenendo che “un genitore assassino non necessariamente è pazzo” e ricordando come fosse lucida al momento dei fatti. La sostituta procuratrice Lucilla Tontodonati ha definito la condotta della madre “particolarmente raccapricciante” e “difficile da accettare concettualmente”, sottolineando che la donna lasciò la bambina “in condizioni disumane, senza aria condizionata e con le finestre chiuse”, pur essendo consapevole delle conseguenze delle sue azioni.
Le immagini e le circostanze del caso hanno scioccato l’opinione pubblica, rendendo evidente la gravità della negligenza che ha portato alla morte della bambina.
Processo Alessia Pifferi, colpo di scena: ergastolo cancellato, la sentenza coglie di sorpresa
La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha ridotto a 24 anni la pena per Alessia Pifferi, condannata per la morte della figlia di 18 mesi, Diana, avvenuta nell’estate del 2022. In primo grado, la donna aveva ricevuto l’ergastolo per omicidio volontario aggravato da futili motivi e dal vincolo di parentela, senza che fossero riconosciute le attenuanti generiche.
La difesa, guidata dall’avvocata Alessia Pontenani, ha chiesto la derubricazione del reato a morte per conseguenze di abbandono e il riconoscimento della seminfermità mentale, sostenendo che Pifferi “è un vaso vuoto” incapace di ragionare come una persona normale. Durante l’arringa, Pontenani ha sottolineato la mancanza di supporto familiare della donna, evidenziando un contesto di abbandono emotivo che avrebbe inciso sul suo comportamento. La legale ha inoltre spiegato che Alessia agiva secondo logiche proprie e limitate: “Non riesce a trovare soluzioni alternative. Non è una persona normale. Lei ragiona a modo suo”.
La criminologa Roberta Bruzzone, ascoltata come consulente, ha aggiunto che i bisogni di Pifferi erano “l’unica cosa che conta davvero e tutto il resto si muove perifericamente”, evidenziando la capacità manipolatoria della donna nel gestire la vicenda con la vicina e i soccorsi dopo il ritorno a casa. La decisione dei giudici di ridurre la pena ha riconosciuto le attenuanti generiche, ma ha confermato la responsabilità della madre nella tragica morte della figlia.