Roma, 6 mag. (Adnkronos Salute) – Le scoliosi dell'adulto hanno un'incidenza che varia dal 2 al 12% della popolazione generale e sono molto diverse dalle scoliosi idiopatiche dei bambini e dell'adolescenza. "Quelle dell'adulto – spiega Luca Proietti, associato di Ortopedia e Traumatologia, Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Chirurgia vertebrale, Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma, afferente alla Uoc di Ortopedia e Traumatologia diretta da Giulio Maccauro – si sviluppano in genere a partire dai 50-60 anni e sono lentamente ingravescenti per tutta la vita, al contrario delle scoliosi dei bambini e dei ragazzi che si 'fermano' al termine dell'accrescimento scheletrico.
Le scoliosi dell'adulto possono essere di tipo 'idiopatico' e sono di fatto quelle comparse in età evolutiva, ma che possono peggiorare in età adulta, provocando la comparsa di dolore (cioè il mal di schiena); poi ci sono le scoliosi 'degenerative' dell'adulto che compaiono verso i 50-60 anni e tendono a peggiorare, dando come sintomo dal mal di schiena a disturbi neurologici (la scoliosi dell'adulto si può associare a stenosi lombare, ernie del disco), ad esempio sciatalgie". Il punto della situazione in occasione di 'Focus on – Il trattamento della scoliosi nell'adulto', un meeting scientifico tenutosi di recente al Gemelli con il patrocinio della Società italiana di chirurgia vertebrale, Gruppo italiano scoliosi (Sicv&Gis).
La scoliosi è una deformità della colonna vertebrale sui tre piani dello spazio. "Gli adulti con la scoliosi – descrive Proietti – tendono a sbilanciarsi, a cadere in avanti, perché il tronco tende a proiettarsi in avanti; a volte possono dare una grave invalidità al paziente che non riesce a camminare dritto, ma curvo in avanti o sbilanciato di lato". A maggior rischio sono le categorie di lavoratori impegnati in lavori molto pesanti, che sollevano continuamente pesi. "Questo – precisa l'esperto – facilita la disidratazione e la degenerazione dei dischi intervertebrali, che porta ad una perdita della lordosi lombare; questo cambia l'assetto posturale, con la testa che si proietta più in avanti del busto e provoca anche delle ricadute sulle grandi articolazioni degli arti inferiori, come le anche e le ginocchia, che si flettono e provocano alterazioni della deambulazione".
Per la diagnosi, oltre alla visita dallo specialista, basta una radiografia del rachide in toto (cioè dalla testa al bacino) in ortostatismo. "La gravità della scoliosi – prosegue Proietti – si esprime in gradi, misurati mediante il cosiddetto 'angolo di Cobb' che considera la curvatura lombare e quella dorsale della colonna vertebrale. In una colonna completamente normale quest'angolo è pari a 0, mentre oltre i 20-30 gradi può dare sintomi invalidanti".
Lo specialista della scoliosi è il chirurgo vertebrale che, dopo aver valutato il paziente, consiglierà la terapia più opportuna. "In genere – illustra l'ortopedico – il percorso terapeutico è di tipo conservativo, almeno nelle fasi iniziali e comunque in assenza di problematiche neurologiche importanti (sciatalgie, deficit di forza degli arti inferiori). Al paziente viene dunque consigliato un trattamento fisiatrico-fisioterapico, con l'intervento, ove necessario, degli specialisti in terapia del dolore. In generale sconsigliamo il busto, per non indebolire ancora di più la muscolatura".
"Se si assiste ad un peggioramento progressivo importante e alla comparsa di dolore e deficit neurologici – continua l'esperto – va preso in considerazione l'intervento chirurgico. Scopo dell'intervento è correggere la deformità, liberare le strutture neurologiche, se c'è una compressione sui nervi, e infine eseguire l'artrodesi, cioè la fusione ossea che blocca i corpi vertebrali riallineati. Nei casi più estremi si può ricorrere al blocco di tutta la colonna dosale e lombare, fino al bacino (fusione dorso-lombo-iliaca). Il tutto viene effettuato utilizzando vite peduncolari e barre in titanio".
Negli ultimi anni ci sono state grandi novità in campo chirurgico. "Oggi – spiega Proietti – è possibile trattare le scoliosi dell'adulto di grado lieve-moderato con interventi mini-invasivi, che consistono nel fare piccolissimi accessi laterali, attraverso i quali vengono inserite delle cage, cioè dei supporti in titanio, all'interno dei dischi intervertebrali, da associare poi ad una stabilizzazione posteriore percutanea, che si ottiene inserendo delle viti per via percutanea mini-invasiva. La durata media di un intervento di questo tipo è di poche ore e il paziente viene mobilizzato già in seconda giornata post-operatoria. Un'altra novità è rappresentata dall'impiego dei 'navigatori', ovvero dei sistemi di navigazione in 3D che ci consentono di limitare al massimo le complicanze relative alle strumentazioni e all'inserimento delle viti peduncolari perché, grazie al navigatore, riusciamo a seguire una traiettoria sicura e precisa. Un conto, infatti, è mettere una vite in una colonna normale, un altro è inserirla in una colonna dalle vertebre completamente ruotate. Il sistema di navigazione ci fa capire, con la ricostruzione 3D, come è orientata la vertebra e ci permette di inserire queste viti in tutta sicurezza. A quel punto, la vite viene utilizzata come un 'joystick' per far ruotare la vertebra; infine, una volta raggiunta la posizione desiderata, andiamo a bloccare le vertebre con le barre in titanio".
"Stiamo parlando – rimarca Proietti – di interventi molto complessi, una volta gravati da molte complicanze, oggi nettamente ridotte grazie all'uso delle nuove tecnologie. Fondamentale è porre la giusta indicazione all'intervento, dopo un'accurata selezione e preparazione del paziente (protocolli Eras per la nutrizione pre-operatoria, trattamento dell’osteoporosi, ecc), che a volte può durare mesi. I grandi alleati per queste patologie sono i muscoli e la qualità dell'osso. E non tutti i pazienti possono essere operati".