Argomenti trattati
- Garlasco, 13 agosto 2007: Chiara Poggi è stata uccisa
- La pista principale: Alberto Stasi e le controversie giudiziarie
- Delitto di Garlasco: le motivazioni dietro la condanna di Alberto Stasi
- La storia del delitto di Garlasco: nel 2016 si tenta di riaprire il caso
- La storia del delitto di Garlasco con nuove tecnologie e potenzialità investigative: indagato Andrea Sempio
Il delitto di Garlasco è uno dei casi di cronaca nera più noti e controversi degli ultimi decenni in Italia. Nel cuore della provincia di Pavia, nell’estate del 2007, la giovane Chiara Poggi, 26 anni, è stata brutalmente uccisa nella sua abitazione dando il via a un’indagine lunga e complessa che, ancora a 18 anni di distanza, tiene l’Italia con il fiato sospeso.
La storia completa tra indagini, processi, dubbi e verità nascoste.
Garlasco, 13 agosto 2007: Chiara Poggi è stata uccisa
Il 13 agosto 2007, a Garlasco, comune della provincia di Pavia, Chiara Poggi viene trovata morta nella sua casa di via Pascoli, accoltellata ripetutamente. La giovane, studentessa universitaria e appassionata di sport, era molto conosciuta e benvoluta nel paese. Le indagini iniziano immediatamente, con la raccolta di testimonianze e prove tecniche, ma sin da subito emergono dubbi e incongruenze. Nessun segno di effrazione e la presenza di pochi elementi utili complicano la ricostruzione.
La vittima ha il cranio fratturato da un oggetto contundente di natura metallica di origine sconosciuta. Presenta inoltre ferite sul volto, simili a tagli da lama, che i medici legali attribuiranno a forbici da sarta. In seguito, una nuova perizia emersa nel processo d’appello indicherà che l’arma del delitto potrebbe essere stata un martello da falegname.
Al centro delle indagini finisce Alberto Stasi, fidanzato di Chiara al momento del delitto. Alle 13:50, è proprio lui a chiamare il 118, chiedendo un’ambulanza perché crede che “sia stata uccisa una persona“, anche se non ne è sicuro, aggiungendo che “forse è ancora viva“.
La pista principale: Alberto Stasi e le controversie giudiziarie
Stasi viene considerato dagli inquirenti il principale sospettato. La mattina dell’omicidio, si trovava a casa dei genitori, impegnato nella stesura della sua tesi di laurea. Tuttavia, alcune analisi sul suo computer lo mettono sotto accusa, perché nel periodo in cui la vittima è stata uccisa, non risulta che stesse effettivamente lavorando alla tesi. Il 24 settembre 2007, Stasi viene arrestato su mandato della Procura di Vigevano.
Quattro giorni dopo, il giudice Giulia Pravon dispone il suo rilascio per mancanza di prove, pur restando la Procura convinta della sua responsabilità. I pubblici ministeri ottengono il rinvio a giudizio. Nel 2009, il giudice Stefano Vitelli lo assolve, dopo che emergono discrepanze sugli orari del decesso e si conferma che Stasi, nell’orario dell’omicidio, stava realmente lavorando alla tesi.
Il caso di Alberto Stasi approda in appello a Milano, dove nuove perizie spostano l’orario della morte di Chiara Poggi poco dopo le 9, anticipando quello indicato in primo grado. I consulenti della famiglia Poggi evidenziano un intervallo di 23 minuti in cui Stasi non lavorava al computer, possibile finestra dell’omicidio.
Nonostante le controversie, il 6 dicembre 2011 Stasi viene assolto per insufficienza di prove. La Procura ricorre in Cassazione, che nel 2013 annulla la sentenza e ordina un nuovo giudizio. Nuove analisi vengono effettuate sul DNA e su un capello trovato tra le mani di Chiara.
Nel secondo appello, nel 2014, Stasi viene condannato a 24 anni, ridotti a 16 con il rito abbreviato, per omicidio volontario senza aggravanti. Il DNA non è decisivo, ma una “superperizia” suggerisce che Stasi abbia ripulito la scena del crimine e simulato il ritrovamento del corpo.
Le scarpe di Stasi, che avrebbe indossato entrando nella villetta, non mostrarono tracce di sangue nella perizia del 2007, nonostante i corridoi fossero insanguinati. Nel 2014, i RIS affermarono che avrebbero dovuto rilevare almeno tracce minime di sangue, così come il tappetino dell’auto usata da Stasi. L’accusa sostiene che Stasi conoscesse già il delitto, mentre la difesa sostiene che evitò le pozze di sangue e che le tracce più piccole fossero ormai secche. Particelle di DNA della vittima furono trovate sul tappetino, ma inizialmente non ritenute ematiche; nuove analisi le confermano come tracce di sangue.
Inoltre, due testimoni avrebbero notato una bicicletta nera da donna vicino alla villetta dei Poggi, collegata all’assassino. Stasi possedeva invece una bici da uomo bordeaux, sequestrata con tracce biologiche della vittima sui pedali. Aveva anche una bici nera da donna familiare, mai sequestrata. Una perizia ipotizzò uno scambio dei pedali tra le due bici per confondere le prove, ma l’accusa nel processo del 2014 esclude questo scambio, basandosi su consulenze tecniche che confermano la coerenza dei componenti delle biciclette.
La difesa impugna in Cassazione, mentre la Procura chiede un aumento della pena per crudeltà. Il procuratore della Cassazione solleva dubbi sulla sentenza, ma nel dicembre 2015 la condanna a 16 anni viene confermata in via definitiva. Il movente resta oscuro, si parla solo di “un momento di rabbia”.
Delitto di Garlasco: le motivazioni dietro la condanna di Alberto Stasi
L’accusa contro Alberto Stasi si basa su diversi elementi chiave. Chiara Poggi è stata uccisa da una persona che conosceva, arrivata in bicicletta e fatta entrare volontariamente in casa; chi ha commesso il delitto aveva una precisa familiarità con l’abitazione, come dimostra il percorso effettuato all’interno delle stanze al piano terra. Il racconto che ha dato sul ritrovamento del corpo appare confuso e contraddittorio, e nonostante dichiarasse di aver attraversato in fretta i locali della villetta, sulle sue scarpe non sono state trovate tracce di sangue né segni che attestassero il contatto con le macchie ematiche sul pavimento. Infine, l’assassino indossava scarpe di taglia 42, corrispondenti a quelle possedute e usate da Stasi.
La storia del delitto di Garlasco: nel 2016 si tenta di riaprire il caso
Nel 2016 la difesa di Stasi tenta di riaprire il caso con un nuovo genetista, che esclude la presenza di Stasi nel DNA e indica tracce di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, che risultava in contatto con la famiglia Poggi prima del delitto. Il Procuratore generale di Milano accoglie la richiesta di revisione del procedimento e la trasmette alla Corte d’appello di Brescia.
Nel 2017 la Corte si dichiara incompetente per un vizio procedurale, ma i legali di Stasi ripresentarono l’istanza con nuove prove. L’indagine su Sempio viene però archiviata, e lui denuncia per calunnia gli avvocati di Stasi. Nel maggio 2017 Stasi presenta un ricorso straordinario in Cassazione per violazioni procedurali e diritto al giusto processo, chiedendo un nuovo appello.
La Cassazione respinge la revisione il 19 marzo 2021, confermando la solidità degli elementi contro Stasi. La Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il 12 dicembre 2023 e il 7 febbraio 2025 due richieste di revisione presentate dalla difesa, dichiarandole irricevibili.
La storia del delitto di Garlasco con nuove tecnologie e potenzialità investigative: indagato Andrea Sempio
La svolta arriva l’11 marzo 2025, quando Andrea Sempio viene nuovamente iscritto nel registro degli indagati per omicidio in concorso, dopo che il suo DNA è stato ritrovato sotto le unghie della vittima, nonostante le accuse fossero state in precedenza archiviate.
Nel mirino anche alcuni biglietti che sarebbero stati scritti da Sempio, contenenti frasi inquietanti come “Ho fatto cose talmente brutte che nessuno può immaginare”. Questi scritti sono stati oggetto di analisi da parte degli inquirenti per valutare eventuali implicazioni psicologiche.
Il 20 maggio 2025, l’indagato non si presenta all’interrogatorio convocato dalla Procura di Pavia, pur essendo l’unico indagato nel nuovo filone d’inchiesta. I suoi legali giustificano l’assenza con motivi di natura procedurale, annunciando una “lotta dura e senza paura”.
A 18 anni dai fatti, emerge una notizia sconvolgente: una perizia del 2020 attribuisce a Sempio un’impronta ritrovata vicino al corpo di Chiara, sulle scale dell’abitazione. Inizialmente considerata irrilevante, la traccia è stata poi confermata come sua grazie a 15 punti di corrispondenza con il palmo della mano.
Il caso di Chiara Poggi resta uno dei misteri più intricati e controversi della cronaca italiana recente. Nonostante le condanne, le revisioni e le numerose perizie, la verità appare ancora sfuggente. Le nuove indagini riaprono interrogativi che sembravano sepolti, ricordandoci quanto la giustizia, soprattutto nei casi complessi, richieda pazienza, rigore e attenzione continua. Solo il tempo e ulteriori approfondimenti potranno forse fare chiarezza definitiva su questa tragica vicenda.