Gli attacchi e le intimidazioni nei confronti dei giornalisti rappresentano una minaccia diretta alla libertà di stampa e alla democrazia. Quando l’inchiesta diventa un obiettivo, chi cerca la verità rischia non solo la propria sicurezza, ma anche quella della propria famiglia. L’attentato subito da Sigfrido Ranucci, conduttore di Report, è un esempio drammatico di come il lavoro giornalistico, pur essendo fondamentale per informare e tutelare i cittadini, possa attirare violenza e ostilità.
In questo contesto, il pericolo si estende anche ai figli, che si trovano loro malgrado coinvolti e costretti a fare i conti con paura e preoccupazione quotidiana.
Attentato a Sigfrido Ranucci, il racconto del figlio minore: paura e sgomento
“Non c’ero al momento dell’esplosione, ero a casa di un amico. Mi ha chiamato mia sorella”. Così Emanuele Ranucci, figlio di Sigfrido Ranucci, ha descritto le concitate ore successive all’attentato avvenuto ieri sera sotto l’abitazione del giornalista e conduttore di Report a Pomezia.
La moglie di Ranucci, sorvegliata dai militari, è rientrata in casa senza rilasciare dichiarazioni. L’ordigno ha completamente distrutto le automobili di Ranucci e di sua figlia e ha provocato danni al cancello della villetta.
Attentato a Sigfrido Ranucci, parla il figlio Giordano: “Oneri e onori”
Ai giornalisti, il figlio maggiore Giordano, con un sorriso riflessivo, commenta l’accaduto:
“Fare inchieste comporta onori e oneri. Gli onori sono il riconoscimento e la stima di tantissima gente, gli oneri che devi stare sempre con gli occhi aperti e sei consapevole che ci sono anche persone che non vogliono bene alla tua famiglia e a tuo padre”.
L’attentato ha scosso profondamente la famiglia, con le auto distrutte e il cancello della villetta danneggiato, un monito evidente dei pericoli che accompagnano il lavoro giornalistico a tutela della verità. Eppure, alla domanda “Avete paura voi adesso?”, il giovane risponde con un deciso: “Non più di tanto“.