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Il caso di Alma Shalabayeva, espulsa dall’Italia nel 2013 insieme alla figlia Alua, torna alla ribalta dopo la decisione della corte d’appello di Firenze, che ha confermato la condanna per cinque funzionari di polizia. Questi ultimi sono stati ritenuti colpevoli di sequestro di persona in relazione a irregolarità nelle procedure di espulsione.
La sentenza ha suscitato diverse reazioni, mettendo in luce le complessità legate a questa vicenda.
Il verdetto della corte d’appello
In un processo bis che ha attirato l’attenzione mediatica, la corte ha deciso di mantenere le condanne a quattro anni per i cinque poliziotti coinvolti. Tra di loro figurano nomi di rilievo come Renato Cortese e Maurizio Improta, ex questore di Rimini. La sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Perugia era stata completamente ribaltata in precedenza, ma la Corte di Cassazione ha richiesto un nuovo esame, portando a questo esito finale.
Le accuse e le difese
Le accuse formulate contro i funzionari riguardano la violazione delle procedure di espulsione, che ha determinato un’azione considerata illegittima. Nonostante la richiesta di assoluzione presentata dal sostituto procuratore generale Luigi Bocciolini, la corte ha ritenuto necessaria una condanna. I legali degli imputati, tuttavia, hanno già annunciato l’intenzione di ricorrere contro la sentenza, sottolineando le difficoltà operative in cui si sono trovati ad operare i funzionari.
Il contesto dell’espulsione
L’espulsione di Alma Shalabayeva e della sua giovane figlia si colloca in un periodo di forte tensione politica. La donna era infatti la moglie di Mukhtar Ablyazov, un noto dissidente kazako. Gli eventi si sono svolti a Roma, dove madre e figlia sono state prelevate dalla polizia a seguito di un’accusa di possesso di un passaporto falso. Due giorni dopo, un decreto di espulsione ha condotto le due donne a un volo privato verso il Kazakistan.
Il riconoscimento dello status di rifugiate
Solo alcuni mesi dopo il rimpatrio, Alma e Alua sono tornate in Italia, dove hanno ottenuto lo status di rifugiate politiche. Questa decisione ha messo in luce le problematiche legate alla sicurezza e al rispetto dei diritti umani, nonché il ruolo delle autorità italiane in situazioni così delicate.
Reazioni alla sentenza
La reazione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è stata immediata. Egli ha espresso la sua vicinanza personale ai funzionari condannati, sottolineando le difficoltà quotidiane nel garantire la sicurezza. Ha definito la vicenda complessa, evidenziando le contraddizioni emerse nelle diverse fasi del processo, tra cui le precedenti assoluzioni.
Amarezza tra i funzionari di polizia
L’Associazione nazionale funzionari di polizia ha manifestato stupore e amarezza per la conferma delle condanne, ritenendo che i funzionari abbiano operato in un contesto difficile e in adempimento dei loro doveri. Il segretario nazionale dell’associazione, Enzo Letizia, ha ribadito che l’espulsione è stata eseguita in modo legale, esprimendo fiducia nel fatto che le successive impugnazioni possano chiarire e ristabilire la verità dei fatti.
Il caso Shalabayeva continua a sollevare interrogativi e dibattiti in Italia, evidenziando l’importanza di un equilibrio tra legalità e tutela dei diritti umani, soprattutto in contesti di emergenza.