Le organizzazioni motivano la richiesta con le gravi violazioni del diritto internazionale commesse nel Paese, i preoccupanti livelli di violenza sessuale e di genere contro donne e ragazze e l’urgenza di proseguire nella raccolta e conservazione delle prove e nell’individuazione dei responsabili, al fine di assicurarne la responsabilità, secondo Amnesty International.
Il gruppo «Avvocati d’Emergenza» ha a sua volta spiegato il lancio di una campagna nazionale sudanese per la proroga del mandato con il perdurare delle violazioni contro i civili — inclusi omicidi di massa, sfollamenti forzati, l’uso della fame come arma di guerra, sparizioni forzate e attacchi alle infrastrutture e alle strutture sanitarie.
Secondo i dati citati, in Sudan si contano oltre 40 mila morti e sono state documentate 16 grandi stragi nel corso del 2024; donne e bambini sono presi di mira con violenze sessuali, e più di 12 milioni di persone — in maggioranza donne e ragazze — sono esposte a questo tipo di abusi.
I numeri dell’emergenza restano drammatici: lo sfollamento interno ed esterno prosegue con oltre 12 milioni di sfollati interni e più di 3,5 milioni di rifugiati all’estero, per un totale di circa 15 milioni di persone in fuga, il 70% donne e minori. La crisi umanitaria è acuta: oltre 30,4 milioni di persone necessitano di assistenza immediata, mentre tra aprile 2023 e luglio 2025 sono stati registrati più di 630 episodi di violenza o ostruzione ai danni del sistema sanitario.
Si stima inoltre che 3,6 milioni di bambini siano a rischio di grave malnutrizione e che l’80% degli ospedali sia fuori servizio. Arresti e detenzioni arbitrarie, spesso accompagnati da torture, sono in aumento quotidiano; si contano centinaia di casi di sparizione forzata, attacchi ai civili su base etnica, tribale e politica e processi politicizzati e iniqui a carico di centinaia di civili.
La Missione d’inchiesta è stata istituita l’11 ottobre 2023 con una risoluzione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, con il mandato di indagare sulle gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario commesse a partire dallo scoppio della guerra nell’aprile dello stesso anno.
Violazioni documentate
Nell’ambito del suo mandato di raccolta di prove e testimonianze da sottoporre alle autorità giudiziarie competenti — inclusa la Corte penale internazionale — la Missione ha documentato nel giugno scorso ampie azioni ritorsive in aree entrate sotto il controllo dell’esercito sudanese e dei movimenti armati alleati, nonché delle Brigate al-Baraa bin Malik, braccio militare della Fratellanza musulmana in Sudan integrato nelle forze dell’esercito, in particolare a Khartoum, Gezira e Sennar.
La Missione ha inoltre registrato violenze ritorsive su larga scala tra la fine del 2024 e la metà del 2025 contro civili accusati di sostenere le forze della coalizione «Tasis» (Fondazione), tra cui difensori dei diritti umani, operatori sanitari e umanitari, oltre ad arresti arbitrari, torture e, in alcuni casi, esecuzioni.
La stessa Missione ha segnalato l’uso dell’assistenza umanitaria come arma di guerra: l’esercito sudanese ha imposto restrizioni burocratiche nonostante i ripetuti avvertimenti che tali pratiche spingono il Paese verso la carestia, soprattutto nel Darfur.
Il 2 giugno un convoglio delle Nazioni Unite è stato bombardato a al-Kuma mentre si dirigeva a El-Fasher, nel Darfur Settentrionale: cinque operatori sono rimasti uccisi. All’esercito sudanese è stato attribuito l’uso di droni nell’attacco, accusa che i militari hanno negato.
Accuse analoghe erano già state formulate da agenzie ONU: nell’agosto scorso il Programma Alimentare Mondiale ha riferito di un attacco contro un suo convoglio di 16 camion nel Nord Darfur, episodio per il quale la coalizione «Tasis» ha indicato come responsabile l’esercito, che ha nuovamente respinto le accuse.
Alla fine della settimana scorsa, media sudanesi hanno riportato la caduta di un drone turco «Bayraktar Akıncı» nell’area di Manawashi, nel Darfur Meridionale. Si tratta di uno dei più recenti velivoli a pilotaggio remoto prodotti dall’industria della difesa turca, impiegato per sorveglianza, ricognizione e operazioni aeree.
Secondo articoli apparsi negli ultimi mesi su Washington Post, Financial Times e Wall Street Journal, l’esercito sudanese fa ampio affidamento su droni forniti da Turchia e Iran, un elemento che — sostengono gli osservatori — evidenzia la dimensione esterna del conflitto e spiegherebbe l’insistenza dei militari sullo sbocco militare, a discapito della sofferenza della popolazione.
Tassi d’inquinamento allarmanti
Alle critiche sui bombardamenti indiscriminati, in particolare con droni di fabbricazione turca in Darfur e Kordofan, si aggiunge un’altra tragedia: l’uso di armi chimiche contro i civili, tra cui il gas mostarda (iprite), a Khartoum, secondo l’Osservatorio Nazionale Sudanese per i Diritti Umani.
In un post su X, l’Osservatorio — citando un tossicologo — ha parlato di una catastrofe umanitaria e sanitaria senza precedenti, avvertendo che diverse aree della capitale potrebbero risultare inabitabili per anni. Secondo il rapporto, nella zona di Khartoum Bahri — in particolare presso la stazione centrale e nei quartieri lungo la strada al-Inqaz — sarebbero stati sganciati barili esplosivi miscelati con gas tossici su case e mercati, causando centinaia di vittime in pochi istanti e diffondendo contaminazione chimica nell’aria.
Immagini circolate sui social indicano danni anche alla vegetazione nei quartieri di Jabra, attorno al Comando corazzato, e ad al-Shajara. «Non riuscivamo a respirare… i bambini sono crollati davanti ai nostri occhi… le case si sono trasformate in tombe», ha raccontato un testimone dal sud di Khartoum. Un’altra donna, da Wad Nubawi a Omdurman, ha riferito: «L’acqua che beviamo è diventata letale: ha cambiato colore, l’odore è soffocante e persino i nostri alberi sono morti».
Queste testimonianze coincidono con un’inchiesta del New York Times del 16 gennaio, che citando quattro alti funzionari statunitensi ha riferito dell’uso di armi chimiche da parte dell’esercito sudanese in almeno due occasioni, con attacchi diretti in aree remote contro le Forze di Supporto Rapido.
L’annuncio statunitense sul ricorso ad armi chimiche è arrivato insieme a sanzioni contro il comandante dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan, per atrocità documentate commesse dalle sue truppe, inclusi bombardamenti indiscriminati contro civili e l’uso della fame come arma di guerra.
Il gruppo «Avvocati d’Emergenza» aveva già documentato l’impiego di barili incendiari su aree densamente popolate, circostanza che espone il governo di Port Sudan ad accuse internazionali particolarmente gravi.
Gli osservatori ricordano inoltre che il 22 maggio scorso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, in base al Chemical and Biological Weapons Control and Warfare Elimination Act del 1991, ha stabilito che l’esercito sudanese ha usato armi chimiche nel 2024: la decisione è stata notificata al Congresso e le sanzioni sono entrate in vigore il 6 giugno.
L’Unione europea, dal canto suo, ha sanzionato il comando dell’aeronautica dell’esercito sudanese per attacchi contro aree civili a Nyala, nel Darfur Meridionale, e in altre località della regione, secondo Human Rights Watch