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Il giorno del ricordo è arrivato troppo tardi e, forse, è meglio così

esule giuliana

Il giorno del ricordo è arrivato quando i sopravvissuti erano ormai anziani o non c'erano più. E forse è meglio così, altrimenti gli sarebbero toccati gli insulti che sono arrivati a Liliana Segre.

Non ho mai nascosto di diffidare, in un certo senso, delle giornate dedicate alla memoria e al ricordo, delle vittime del nazismo o di quelle del socialismo jugoslavo. Perché l’istituzionalizzazione della memoria rischia di renderle un rito, una scadenza obbligata, come un nodo al fazzoletto.

L’olocausto non dovrebbe aver bisogno di date per essere iscritto nella coscienza collettiva dell’Europa, è qualcosa che dovrebbe assomigliare al ricordo di un nostro caro che non c’è più: non abbiamo bisogno del giorno dei morti per farcelo tornare in mente. E per quanto riguarda il ricordo delle foibe e dell’esodo di migliaia di italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, è anche peggio.

Suscita negazionismi o parole di circostanza, come un obolo al dolore altrui. Va detto: il giorno del ricordo è arrivato troppo tardi. Quando i sopravvissuti erano ormai anziani, o non c’erano più, e il riconoscimento tardivo alimentava per contrasto il senso di solitudine vissuto per tanti anni dagli istriani e dai dalmati. Si fatica a ricordare – e se capitate alla stazione di Bologna andate a leggervi l’ipocrita lapide che è un capolavoro del non detto – che gli esuli furono accolti a muso duro, in Italia.

Furono trattati da fascisti, solo perché fuggivano il socialismo slavo. Non lo erano, e lo erano stati piuttosto milioni di italiani plaudenti alle avventure del duce, e ora pronti a essere partigiani del 26 aprile, seduti sul carro del vincitore a schernire gli altri, che pagavano gli errori e i crimini del fascismo, come fascisti.

Non fu solo la sinistra, per ragioni ideologiche, a comportarsi così: l’Italia pagò i debiti di guerra alla Jugoslavia con i beni che gli esuli si erano lasciati alle spalle. Forse bisognerebbe cambiare vocabolario: dire che le foibe furono fosse comuni, dire che l’esodo fu il frutto di una pulizia etnica, dire che non fu solo nazionalismo perché vennero uccisi migliaia di sloveni e croati indocili, ricordare che l’Italia non seppe accogliere profughi che parlavano la sua stessa lingua.

Ma temo che non si arriverebbe comunque a una memoria condivisa, come se anche il Male avesse una bandiera, e il Male dei nostri fosse sempre meno grave del Male degli altri. La signora che venne fotografata, bambina, con in mano una valigia, la scritta “esule giuliana” e un numero, non viene invitata nelle scuole. Meglio così, altrimenti le toccherebbero gli insulti che sono arrivati a Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Forse anche di più, e con meno scandalo.

Bambina esule giuliana