Argomenti trattati
Negli ultimi mesi, non sono più soltanto le armi a mettere in pericolo la vita dei sudanesi. Nel pieno della guerra in corso da metà aprile 2023 tra le forze del “Sudanese Founding Alliance – Ta’sis” e l’esercito con base a Port Sudan, un altro rischio si sta imponendo con forza: il collasso ambientale e sanitario, reso ancora più difficile da affrontare a causa delle condizioni di guerra.
In questo contesto, Adiba Ibrahim, membro del Sindacato dei Medici del Sudan, ha dichiarato di aver monitorato decine di casi di epatite virale nello Stato di Al Jazira, oltre a due casi registrati negli ospedali della capitale Khartoum, con un aumento quotidiano delle segnalazioni.
In una dichiarazione al quotidiano Al-Taghyeer del 24 dicembre 2025, Ibrahim ha spiegato che “la comparsa dell’epatite virale avviene mentre gli Stati di Al Jazira e Khartoum registrano un aumento dei casi di malaria; la dengue è ancora presente, anche se in lieve calo; e sono stati segnalati anche casi di colera, pur con una riduzione relativa rispetto al periodo recente”. La dottoressa ha avvertito che la concomitanza di più focolai epidemici rappresenta “un rischio enorme per la salute dei cittadini”.
Secondo Ibrahim, l’aggravarsi della situazione è legato al peggioramento del contesto ambientale: accumulo di rifiuti, diffusione di erbacce e vegetazione incontrollata, presenza di pozze e acque stagnanti. Elementi che — ha sottolineato — creano un ambiente favorevole alla proliferazione di virus, batteri e parassiti, inclusi i virus dell’epatite.
La dottoressa ha inoltre ricordato che l’epatite virale è tra le patologie più pericolose per il fegato, perché causata dall’infezione di uno dei virus epatitici più diffusi (A, B, C, D ed E), che differiscono per modalità di trasmissione, gravità e misure preventive.
Ibrahim ha quindi invocato “interventi immediati e urgenti” per contenere l’espansione dei contagi, tra cui: miglioramento delle infrastrutture idriche e fognarie, intensificazione delle campagne di educazione sanitaria, accelerazione dei programmi di bonifica ambientale nei distretti locali e disponibilità rapida dei vaccini — soprattutto per le categorie più esposte.
Disastri ambientali incombenti
Sul fronte dell’inquinamento, il Consiglio Superiore per l’Ambiente e le Risorse Naturali aveva confermato, nel settembre 2025, la presenza di contaminazione chimica in alcune aree della capitale Khartoum.
Secondo quanto riportato da vari resoconti, la contaminazione interesserebbe circa 30 quartieri residenziali e amministrativi nell’area compresa tra il Palazzo Repubblicano e l’Università di Khartoum a nord, fino ai confini meridionali dei quartieri di Khartoum Est, includendo zone come Al-Emarat, Al-Taif, Al-Riyadh, Al-Maamoura e Arkawit, oltre a diversi quartieri della città di Omdurman nel nord-ovest della capitale.
Queste informazioni arrivano mentre gli Stati Uniti hanno affermato che l’esercito di Port Sudan avrebbe utilizzato armi chimiche durante la guerra in aree di scontro contro le forze del blocco Ta’sis.
In questo quadro, il gruppo indipendente Avvocati d’Emergenza ha denunciato che gli attacchi aerei effettuati dall’aviazione dell’esercito di Port Sudan su Nyala, nel Darfur, avrebbero trasformato la città in “un’enorme bolla di inquinamento”, provocando numerosi casi di soffocamento, difficoltà respiratorie, infiammazioni toraciche, diffusione di asma e irritazioni cutanee, dopo l’uso — secondo l’accusa — di gas cloro.
Azioni legali e accuse internazionali
Secondo il Forum dei Media Sudanesi, il 2025 è stato “l’anno delle epidemie e delle malattie”: il colera si sarebbe diffuso in 152 località in tutti gli Stati, con oltre 123.000 casi e circa 3.500 decessi entro dicembre 2025. Anche la dengue si sarebbe propagata in gran parte del paese, soprattutto a Khartoum e Al Jazira, causando — secondo le stesse fonti — centinaia di morti.
Alcune valutazioni mediche non escludono che l’esplosione delle epidemie possa essere collegata all’uso di sostanze chimiche, soprattutto dopo la comparsa di casi definiti “misteriosi”. In queste letture, la responsabilità viene attribuita all’esercito guidato da Abdel Fattah al-Burhan.
Alla fine di settembre 2025, l’Alleanza Sudanese per i Diritti Umani ha annunciato la presentazione di un’azione legale presso la Corte Penale Internazionale contro quattro figure di vertice dell’autorità di Port Sudan, tra cui lo stesso al-Burhan, con accuse legate all’uso di armi chimiche e a gravi violazioni contro civili nel conflitto sudanese.
L’Alleanza, che afferma di lavorare con un team di avvocati internazionali, indica che il dossier riguarda Abdel Fattah al-Burhan, Yasser al-Atta, Shams al-Din al-Kabashi e il generale al-Tahir Mohammed, sostenendo di aver consegnato prove che richiedono l’apertura di un’indagine e il perseguimento dei responsabili.
Parallelamente, la stessa Alleanza avrebbe presentato un reclamo ufficiale alla Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli e inviato una lettera al direttore dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPCW), chiedendo un’indagine urgente e il congelamento dell’adesione dell’autorità di Port Sudan, avvertendo che il protrarsi del silenzio internazionale “favorisce l’impunità”.
Una guerra senza fine e il ruolo delle milizie ideologiche
Nonostante le iniziative internazionali e regionali per fermare la guerra, il conflitto resta al culmine. Secondo alcune valutazioni citate nel testo, sarebbero ambienti legati ai Fratelli Musulmani e alle reti del precedente regime a alimentare la prosecuzione delle ostilità.
In particolare, vengono menzionate milizie islamiste — tra cui le “Brigate Al-Baraa bin Malik” — come una delle principali forze visibili nel fronte di Port Sudan. Fonti citate sostengono che tali gruppi riceverebbero un sostegno continuo da Ankara e Doha nel quadro degli obiettivi della rete internazionale dei Fratelli Musulmani.
Il professor Haitham Imran, docente di scienze politiche e diritto internazionale, afferma che gli sviluppi sul terreno mostrano chiaramente l’ascesa di quella che definisce la “Brigata Al-Baraa bin Malik” come forza شبه-militare con un’impronta ideologica esplicita, storicamente legata alle formazioni della “Difesa Popolare”, che fungevano da braccio operativo del movimento islamista durante la presidenza di Omar al-Bashir. Secondo Imran, il ritorno di questo gruppo nel contesto della guerra attuale rifletterebbe un tentativo “sistematico” di riattivare strutture organizzative islamiste all’interno del conflitto, con obiettivi che vanno oltre la difesa nazionale e puntano a influenzare gli esiti della guerra sul piano politico e ideologico.
Cambiamenti tra gli alleati e il fattore saudita
D’altra parte, alcune ricostruzioni parlano di un possibile orientamento dell’Arabia Saudita verso un sostegno a Port Sudan, dopo una fase in cui Riyadh era ritenuta più vicina al blocco Ta’sis, che avrebbe combattuto al fianco degli Houthi in Yemen.
Secondo osservatori, questo potrebbe essere legato all’evoluzione dei rapporti saudita-iraniani, che avrebbe spinto Riyadh a ricalibrare le proprie scelte, nonostante precedenti dichiarazioni di neutralità “per salvaguardare l’unità del Sudan”.
Al-Burhan avrebbe visitato recentemente l’Arabia Saudita, incontrando il principe ereditario Mohammed bin Salman e tenendo colloqui bilaterali, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa saudita SPA.
L’attivista sudanese Bakri al-Sayigh sostiene che il principe ereditario, pur invitando al-Burhan, sarebbe consapevole che la visita “non produrrà risultati” e non aprirà prospettive concrete per il ritorno di sicurezza e stabilità in Sudan. A suo avviso, bin Salman avrebbe maturato la convinzione che al-Burhan, “assediato” dalle correnti islamiste, non possa agire in autonomia.
Per alcuni analisti, la politica saudita recente — descritta come “incerta” — potrebbe spingere Riyadh a convergere con il campo di Port Sudan come strumento per rafforzare la propria influenza economica nel Mar Rosso e nell’Africa orientale, dove i suoi interessi si intrecciano con quelli di altre potenze regionali. In questa prospettiva, l’allineamento con Port Sudan potrebbe servire a tali obiettivi, soprattutto considerando che quel fronte — secondo le stesse fonti — avrebbe già compiuto concessioni territoriali a favore del Cairo nella zona di Halaib, Shalateen e Abu Ramad.