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Futuro delle energie rinnovabili dopo la COP28: analisi e preoccupazioni

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Dopo la COP28, i progressi verso le energie rinnovabili sono stati deludenti.

A quasi due anni dalla Conferenza delle Parti di Dubai (COP28), i risultati sono decisamente deludenti. I governi di oltre 130 Paesi avevano promesso di triplicare la capacità globale delle energie rinnovabili entro il 2030. Eppure, un recente rapporto del gruppo di esperti climatici Ember svela un dato preoccupante: solo 22 Stati, per lo più membri dell’Unione Europea, hanno davvero aumentato i loro obiettivi nazionali.

Questo si traduce in un modesto incremento globale delle ambizioni di appena il 2% rispetto agli impegni iniziali, un cifra ben lontana dagli 11 terawatt fissati come traguardo. Come possiamo affrontare questa realtà?

Stati membri e obiettivi rinnovabili

Tra i membri dell’UE, sette Stati hanno aggiornato i propri piani, ma alcuni, come Messico e Indonesia, hanno addirittura ridotto i loro obiettivi. Colossi come Stati Uniti, Cina e Russia, che insieme rappresentano quasi metà delle emissioni globali, non hanno fatto progressi significativi. Gli Stati Uniti e la Russia non hanno nemmeno fissato obiettivi per il 2030, mentre la Cina potrebbe delineare la propria strategia nel prossimo piano quinquennale. Dall’altro lato, l’India mantiene i suoi target, puntando a 500 gigawatt di rinnovabili entro il 2030, in linea con gli obiettivi globali. Ma è davvero sufficiente?

Il Vietnam, per esempio, si distingue per la sua ambizione, promettendo un incremento di 86 gigawatt entro la fine del decennio. Anche Australia e Brasile si sono messi in gioco, annunciando piani di crescita rispettivamente di 18 e 15 gigawatt. Il Regno Unito e la Corea del Sud hanno rivisto al rialzo i loro obiettivi, puntando a 7 e 9 gigawatt in più. Tuttavia, gli analisti avvertono che, senza un’accelerazione immediata, la dipendenza dai combustibili fossili rimarrà alta. E noi, come possiamo contribuire a questo cambiamento?

La situazione in Italia

Focalizzandoci sull’Italia, il Paese ha raggiunto solo il 22% dell’obiettivo fissato per il 2030 nel Decreto Aree Idonee. Questo significa mancare all’appello di 62 gigawatt in sei anni, il che comporterebbe una media di circa 10 gigawatt all’anno. L’Italia, assente alla votazione finale della COP28, ha mostrato un atteggiamento allineato con le posizioni più conservative. Nonostante si sia proposta come primo donatore al fondo “Loss and damage” per i Paesi vulnerabili, non ha chiarito la provenienza dei fondi, collegandoli genericamente al “Piano Mattei”, che mira a rendere l’Italia un hub europeo per il gas. È davvero questo il futuro che vogliamo?

Conclusioni e prospettive future

Il risultato della COP28, pur essendo il primo accordo a mirare a una transizione dai combustibili fossili, non ha portato a un cambiamento deciso. L’accordo sul “Global Stocktake” si è rivelato privo di impegni vincolanti e di scadenze chiare, sostituito da formulazioni vaghe che accontentano i grandi produttori di petrolio e gas. Le pressioni dell’OPEC e l’interesse per tecnologie controverse come la cattura del carbonio hanno ulteriormente abbassato le aspettative. A quasi due anni dall’incontro, il rapporto Ember conferma la mancanza di progressi significativi, con alcuni governi che non solo non hanno aumentato i loro obiettivi, ma li hanno addirittura abbassati. In un contesto in cui i vertici sul clima diventano occasioni per nuovi accordi fossili, il rischio è che le promesse di triplicare le rinnovabili entro il 2030 rimangano solo parole, incapaci di affrontare la crisi ecologica attuale. Cosa siamo disposti a fare per cambiare questa situazione?