Roma, 17 ott. (Adnkronos) – La questione salariale "non può essere elusa", perchè "tante famiglie rischiano di essere sospinte e talvolta sono effettivamente sospinte sotto la soglia di povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti", mentre "troppi" giovani "sono spinti all’emigrazione, sovente a causa del basso livello retributivo di primo ingresso nel mondo del lavoro".
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, torna a sottolineare gli "aspetti di preoccupazione" a proposito dei "livelli salariali" di cui aveva parlato in occasione della Festa del Lavoro del 1 maggio scorso, quando aveva anche evidenziato che "salari inadeguati sono un grande problema, una grande questione per l’Italia". L'occasione per tornare sull'argomento e per segnalare gli "effetti negativi" che possono determinarsi sulla "serenità della vita sociale", è data dalla cerimonia al Quirinale per la consegna delle Stelle al merito del lavoro.
"Il lavoro -è la premessa del Capo dello Stato- sta cambiando. Occorre inserirsi nei cambiamenti. Per governarli e orientarli in direzione della giustizia e del rispetto di ogni persona". La bussola naturalmente è rappresentata dalla Costituzione, che all'articolo 36 "prescrive" per il lavoratore "una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Ben sapendo come "i salari siano stati lo strumento principe nel nostro Paese per ridurre le disuguaglianze, per un equo godimento dei frutti offerti dall’innovazione, dal progresso". É quello che continua ad accadere effettivamente nella realtà?
"La dinamica salariale negativa dell’ultimo decennio -registra Mattarella- vede ora segnali di inversione di marcia". Tuttavia permangono "squilibri nelle retribuzioni", con "tante famiglie che rischiano di essere sospinte e talvolta sono effettivamente sospinte sotto la soglia di povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti, mentre invece super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese".
Per non parlare dei giovani, "troppi dei quali sono spinti all’emigrazione. Questa strada, spesso sofferta, viene prescelta, talvolta, per la difficoltà di trovare lavoro e, sovente, a causa del basso livello retributivo di primo ingresso nel mondo del lavoro".
Il Capo dello Stato invita così a riflettere su "una struttura di categorie salariali che vede, nei cosiddetti piani alti dell’occupazione, lavoro prestigioso, appagante, ben remunerato e, nei cosiddetti piani bassi, forme di precarietà non desiderate, subite, talvolta oltre il limite dello sfruttamento".
A sostegno della sua disamina, il Presidente della Repubblica cita "i risultati di una recente indagine di Confcommercio che ha posto in luce il preoccupante fenomeno della crescita dei cosiddetti 'contratti pirata'. Oltre mille i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel: duecentocinquanta nei soli settori del turismo e del terziario. Tra questi, vi sono contratti firmati da rappresentanze sindacali e datoriali scarsamente rappresentative, con vere e proprie forme di dumping contrattuale che hanno l’effetto di ridurre i diritti e le tutele dei lavoratori, di abbassare i livelli salariali, di provocare concorrenza sleale fra imprese".
Non solo. "L’Organizzazione internazionale del lavoro certifica che la quota di reddito da lavoro —ovvero la quota del Pil dedicata ai lavoratori, destinata alle loro retribuzioni —è scesa a livello mondiale in misura significativa dal 2014 al 2024. È un tema che la Banca centrale europea segnala anche per l’Italia: alla robusta crescita dell’economia che ha fatto seguito al Covid, non è corrisposta la difesa e l’incremento dei salari reali, mentre risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni fra i dirigenti".
E questo quando "sono le entrate fiscali dei dipendenti pubblici e privati, dei pensionati, a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse". Dati che devono far riflettere "parti sociali" e "istituzioni", non per "inseguire politiche assistenziali", ma per compiere scelte "di sviluppo e, quindi, di lungimirante coesione sociale".
"La ricomposizione del lavoro -esorta in conclusione Mattarella- è dunque parte di un processo di equità, che richiede una crescita di consapevolezza, e anche un’opera paziente di carattere culturale". Viceversa si rischiano "effetti negativi nel tempo sulla serenità della vita sociale", di cui "sembra, talvolta, non ci si renda appieno conto". (di Sergio Amici)