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Tre giorni dopo aver ricordato l’80esimo anniversario dell’orrore atomico di Hiroshima, è il turno di Nagasaki, una città che porta nel cuore il peso di una tragedia inimmaginabile. Il 9 agosto 1945, la seconda bomba atomica americana devastò la città, uccidendo oltre 70.000 persone, per lo più civili, e portando alla resa incondizionata del Giappone.
Ma cosa rimane di quella memoria? E perché oggi, più che mai, dovremmo interrogarci sulla retorica delle commemorazioni?
Il contesto dimenticato delle commemorazioni
Diciamoci la verità: le commemorazioni di Hiroshima e Nagasaki non sono solo un rito di memoria, ma anche un terreno di scontro politico. Quest’anno, 94 Paesi e regioni hanno partecipato all’evento, ma non sono mancate le polemiche. Solo un anno fa, la scelta della municipalità di non invitare Israele a causa del conflitto in corso nella Striscia di Gaza aveva sollevato non poche critiche, tra cui il boicottaggio della cerimonia da parte di ambasciatori di paesi chiave. Questo ci porta a chiederci: è davvero possibile separare la memoria dalla politica? La realtà è meno politically correct di quanto ci piaccia ammettere.
Nonostante il significato profondo che la commemorazione dovrebbe avere, essa viene spesso strumentalizzata. Il sindaco di Nagasaki, Shiro Suzuki, ha chiamato i leader mondiali a un’azione concreta per l’abolizione delle armi nucleari, un appello che, per quanto nobile, sembra rimanere senza eco nel panorama politico attuale. È interessante notare come, mentre vengono celebrati i sopravvissuti, i cosiddetti ‘hibakusha’, il numero di coloro che vivono per raccontare l’orrore di quei giorni continua a diminuire, con una media di età che supera gli 86 anni. Questo solleva una questione cruciale: chi si ricorderà di loro quando non ci saranno più?
Il silenzio assordante della comunità internazionale
So che non è popolare dirlo, ma la retorica del disarmo nucleare è spesso solo una facciata. Il premier giapponese Shigeru Ishiba ha promesso di mantenere gli impegni del Giappone in merito alle armi nucleari, ma ha omesso di menzionare il trattato delle Nazioni Unite sul divieto delle armi nucleari, entrato in vigore nel 2021. Perché? La risposta è semplice: non c’è volontà politica di abbandonare il potere nucleare, nemmeno in una nazione che ha subito le conseguenze di tale potenza distruttiva. E mentre la comunità internazionale annuncia promesse di disarmo, la realtà è che le armi nucleari continuano a essere un punto focale della politica globale.
La dichiarazione del sottosegretario generale delle Nazioni Unite, Izumi Nakamitsu, ha esortato a rinnovare l’impegno verso strumenti di disarmo, ma quali strumenti? Dialogo e diplomazia, certo, ma come possiamo fidarci di un dialogo che spesso si riduce a semplici parole, mentre i conflitti armati continuano a imperversare in tutto il mondo? La verità è che la maggior parte delle nazioni, compreso il Giappone, si trova intrappolata in un gioco di potere ben più grande, dove le leggi della guerra e della pace si intrecciano in un balletto macabro.
Un futuro incerto e la necessità di una riflessione critica
In conclusione, mentre ci accingiamo a commemorare il passato, è essenziale non perdere di vista il presente. Il vero orrore non è solo quello di Nagasaki, ma anche la nostra indifferenza verso la lezione che essa porta con sé. La maggior parte dei sopravvissuti è ormai anziana e i loro racconti rischiano di perdersi nel silenzio. È fondamentale, quindi, che ci si interroghi attivamente su cosa significa davvero ricordare. La commemorazione deve diventare un catalizzatore per l’azione, non un semplice atto simbolico. Invitiamo tutti a riflettere criticamente su ciò che significa vivere in un mondo che ha conosciuto l’orrore della guerra nucleare, e su cosa possiamo fare per evitare che simili tragedie si ripetano in futuro.