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Perché l'oro di Erika Saraceni non fa notizia?

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La vittoria di Erika Saraceni solleva domande scomode sulla selettività mediatica in Italia.

La recente vittoria di Erika Saraceni, giovane promessa del salto triplo, agli Europei Under20 di Tampere, ha acceso un dibattito che va ben oltre il semplice sport. Diciamoci la verità: in un Paese normale, una notizia del genere dovrebbe riempire le prime pagine dei giornali, ma la realtà è ben diversa.

Perché il talento di Saraceni, figlia di due ex atleti italiani, è stato relegato a un trafiletto, mentre altre storie, spesso legate a origini diverse, monopolizzano l’attenzione mediatica? È tempo di affrontare questa disparità e analizzare le ragioni che si nascondono dietro.

Il contesto della vittoria di Erika

Erika Saraceni ha conquistato la medaglia d’oro con un salto di 14,24 metri, stabilendo un nuovo record italiano juniores. Un risultato che meriterebbe di essere celebrato come un esempio di impegno e dedizione. Tuttavia, il suo trionfo è stato oscurato da altre narrazioni. Il vicesegretario della Lega, Roberto Vannacci, ha sottolineato come sia paradossale che atleti con origini non italiane ricevano maggiore attenzione e visibilità. La selettività dei media crea un clima di razzismo al contrario, dove il merito viene oscurato da una narrativa che privilegia l’identità rispetto al talento.

La questione non è solo una semplice osservazione, ma un fenomeno più ampio che coinvolge il modo in cui il giornalismo sportivo italiano opera. Negli scorsi eventi olimpici, molti media si sono concentrati su atleti di origini diverse, ignorando completamente altri talenti, come Ekaterina Antropova, che meritavano altrettanta visibilità. La centralità della narrativa identitaria ha preso il sopravvento, relegando il talento al secondo piano. Ma ci chiediamo: è giusto sacrificare il merito sull’altare della diversità?

La selettività e le sue conseguenze

Questa selettività nella copertura mediatica ha delle conseguenze tangibili. Non solo diminuisce la visibilità di atleti che, come Saraceni, portano in alto il nome dell’Italia, ma crea anche un clima di divisione e di ingiustizia. La realtà è meno politically correct: si rischia di far passare il messaggio che solo alcuni tipi di storie meritano attenzione. Questo non è solo un problema per gli sportivi, ma per la società nel suo complesso. Quando si privilegiano determinate narrazioni, si perde di vista il valore universale dello sport, che dovrebbe unire e non dividere.

Inoltre, questa situazione alimenta una sorta di intolleranza verso chi non rientra nei canoni di finto progressismo. Vannacci ha giustamente sottolineato come certi media, che si proclamano paladini della libertà e della non discriminazione, siano i primi a escludere chi non si conforma alla loro visione. È un paradosso che è difficile ignorare e che merita una riflessione profonda. Dobbiamo chiederci: siamo pronti a superare questa ipocrisia?

Riflessioni finali

Onore a Erika Saraceni e a tutti gli atleti che, indipendentemente dalle loro origini, portano avanti il valore dello sport. La loro dedizione e il loro talento dovrebbero essere celebrati senza distinzioni. La vera sfida per i media italiani è quella di superare le barriere create da narrative selettive e abbracciare una visione più inclusiva e meritocratica. Solo così si potrà davvero valorizzare il talento, in tutte le sue forme. Invitiamo tutti a riflettere su questo aspetto e a mettere in discussione le narrative prevalenti, perché il merito non ha colore e non può essere ignorato. Diciamoci la verità: se vogliamo un futuro migliore, dobbiamo iniziare a raccontare storie vere e meritocratiche.