Il drammatico ritrovamento di un neonato morto in uno zainetto tra gli scogli di Villa San Giovanni, avvenuto il 26 maggio 2024, ha portato alla condanna della nonna, Anna Maria Panzera, riconosciuta colpevole di infanticidio dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria. La vicenda, segnata da un contesto familiare complesso, ha suscitato profondo scalpore per la modalità e le circostanze del crimine.
Reggio Calabria, nonna uccise il nipotino: indagini e ritrovamento del corpo
Il 26 maggio 2024, a Villa San Giovanni, tra gli scogli nei pressi degli imbarcaderi dei traghetti, è stato scoperto uno zainetto contenente il corpo senza vita di un neonato. Le indagini hanno subito concentrato l’attenzione sulla famiglia della giovane madre, una ragazza di tredici anni con deficit cognitivo.
Gli accertamenti hanno rivelato che il bambino è nato vivo, ma poco dopo la nascita sarebbe stato soffocato.
Fondamentali per ricostruire la dinamica sono state le immagini delle telecamere di sorveglianza, che avrebbero ripreso la nonna trasportare e abbandonare lo zainetto tra le rocce. L’inchiesta ha evidenziato un contesto familiare fragile, caratterizzato dalla presenza di difficoltà psichiche e sociali, che ha contribuito alla drammatica evoluzione dei fatti.
Reggio Calabria: uccise il nipotino, è ergastolo per la nonna
A conclusione del processo, la Corte d’Assise di Reggio Calabria ha condannato all’ergastolo la nonna del piccolo, Anna Maria Panzera, riconoscendola colpevole di infanticidio. La sentenza ha sottolineato come la donna fosse direttamente responsabile di aver collocato il neonato nello zainetto e di averlo lasciato tra gli scogli, causando la morte per soffocamento.
La condanna riflette la gravità dell’atto e l’impatto del contesto familiare, segnato da trascuratezza e fragilità psicologica, che ha aggravato la responsabilità della condannata.