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Il portavoce delle Nazioni Unite, Stéphane Dujarric, ha rinnovato l’appello a porre fine al conflitto che ha lasciato 25 milioni di persone – quasi la metà della popolazione – in condizioni di insicurezza alimentare acuta. Durante una conferenza stampa dell’11 settembre 2025, Dujarric ha dichiarato che, a causa della mancanza di fondi, il Programma Alimentare Mondiale (PAM) è stato costretto per la prima volta a ritirare il sostegno da alcune aree accessibili. Attualmente il PAM può assistere solo quattro milioni di persone al mese, ossia un beneficiario su sei e la metà dell’obiettivo iniziale.
“Milioni di persone vengono private di aiuti salvavita”, ha spiegato Dujarric, aggiungendo che il PAM è costretto a dare priorità a coloro che si trovano nei livelli più gravi di fame. L’agenzia ONU ha inoltre avvertito che la crisi sudanese si sta avvicinando a una nuova fase catastrofica con l’inizio della stagione secca, prevedendo un peggioramento della fame già a settembre e il rischio che milioni di persone scivolino verso una carestia estrema.
Il ritorno di al-Misbah a Port Sudan
Dopo mesi di assenza, il 17 settembre 2025 al-Misbah Abu Zaid Talha, leader della milizia islamista al-Bara ibn Malik che combatte a fianco dell’esercito sudanese, è giunto a Port Sudan provenendo dal Cairo.
Secondo il quotidiano sudanese al-Taghyeer, le autorità egiziane avrebbero ordinato la sua espulsione, dichiarandolo persona non gradita. Fonti locali riferiscono che membri del Consiglio Sovrano avrebbero esercitato pressioni su funzionari egiziani per accelerarne il rilascio, al fine di evitare fratture tra l’esercito e i gruppi islamisti alleati.
Al suo arrivo a Port Sudan, al-Misbah ha annunciato l’intenzione di recarsi a Wad Madani, poi a El-Obeid e infine a El-Fasher, segnali di una ripresa delle sue attività militari nelle aree di conflitto. Osservatori internazionali hanno interpretato questi movimenti come una prosecuzione della guerra al servizio dell’agenda dei Fratelli Musulmani, in un momento in cui la comunità internazionale cerca di porre fine alla sofferenza della popolazione sudanese.
Al-Misbah Abu Zaid guida una delle più grandi milizie islamiste jihadiste del Paese, accusata di gravi violazioni, inclusi episodi di pulizia etnica e deportazioni forzate.
Le sanzioni degli Stati Uniti
Il ritorno del leader della milizia è avvenuto pochi giorni dopo l’annuncio del Dipartimento del Tesoro statunitense, il 12 settembre 2025, di nuove sanzioni contro la Brigata al-Bara ibn Malik e contro il ministro delle Finanze sudanese, Jibril Ibrahim, accusati di alimentare la guerra civile e di intrattenere stretti rapporti con l’Iran.
Secondo Washington, l’obiettivo è ridurre l’influenza delle forze islamiste in Sudan e limitare le attività regionali di Teheran, responsabili di destabilizzazione e aggravamento del conflitto. “I gruppi islamisti sudanesi hanno costruito alleanze pericolose con il regime iraniano”, ha dichiarato John K. Hurley, sottosegretario al Tesoro per il terrorismo e l’intelligence finanziaria. “Non resteremo a guardare mentre minacciano la sicurezza regionale e globale.”
Il Tesoro ha ricordato come gli islamisti abbiano contribuito per decenni a indebolire le istituzioni statali, specialmente durante il lungo governo di Omar al-Bashir, rovesciato nel 2019. Jibril Ibrahim, leader del Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza, è accusato di aver reclutato migliaia di combattenti a sostegno dell’esercito, causando la distruzione di intere città e lo sfollamento di civili, oltre a rafforzare legami politici ed economici con Teheran.
Secondo l’amministrazione statunitense, la Brigata al-Bara avrebbe inviato oltre 20.000 combattenti contro le Forze di Supporto Rapido, con armi e addestramento forniti dai Pasdaran iraniani, commettendo arresti arbitrari, torture ed esecuzioni sommarie.
Accuse di crimini di guerra
La Kataib al-Bara ibn Malik, nata nell’alveo della Fratellanza Musulmana sudanese e considerata uno dei principali strumenti repressivi del regime di al-Bashir, è accusata da organizzazioni per i diritti umani di atrocità durante il conflitto, spesso paragonate alle pratiche dello Stato Islamico in Siria e Iraq.
Il militante sudanese Mohamed al-Hadi ha sottolineato che la presenza di gruppi ideologici estremisti come i Bara ibn Malik rappresenta un rischio esistenziale per il futuro del Paese: “Le milizie jihadiste non si fermano al nemico comune, ma diventano in seguito un mostro incontrollabile. L’Afghanistan con i talebani e al-Qaida è l’esempio lampante.”
Testimonianze denunciano esecuzioni pubbliche tra urla di esaltazione religiosa, pratiche che alimentano una cultura della violenza e legittimano l’omicidio extragiudiziale. A gennaio 2025, nelle aree di al-Kanabi (Stato di al-Jazira), la milizia è stata accusata di massacri contro civili disarmati, accusati di collaborare con le Forze di Supporto Rapido.
Secondo i comitati di resistenza di El-Fasher, le atrocità includono esecuzioni collettive, mutilazioni e uccisioni indiscriminate, soprattutto nelle regioni di Halfaia, El-Obeid e diversi villaggi a est di al-Jazira.
Un dovere etico
Per intellettuali come Khalid Kodi, il contrasto a queste milizie non è soltanto una necessità politica, ma un dovere etico e culturale: “Chi combatte sotto la bandiera di al-Bara ibn Malik non può pretendere neutralità, perché quella bandiera è macchiata di sangue. È il progetto del jihad politico che si riproduce sotto nuove vesti, ma con la stessa logica di esclusione e takfir.”