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Trentuno anni dopo un silenzio che sembrava eterno, si riapre il caso di Antonella Di Veroli, la giovane il cui destino tragico è stato celato per decenni dentro un armadio sigillato con il silicone. Ora, l’ombra del passato si allunga nuovamente, pronta a svelare verità che sembravano perdute nel tempo e a restituire giustizia a una vicenda avvolta nel mistero.
Trovata morta in un armadio: riaperto dopo 31 anni il caso di Antonella Di Veroli
La Procura di Roma ha ufficialmente riaperto le indagini sull’omicidio di Antonella Di Veroli, consulente del lavoro di 47 anni, assassinata nell’aprile 1994 nel suo appartamento di via Domenico Oliva 8, nel quartiere Talenti a Roma.
Dopo oltre trent’anni di silenzio, il fascicolo è stato riaperto grazie all’insistenza della famiglia della vittima e all’intervento dell’avvocato Giulio Vasaturo. Il corpo di Antonella fu scoperto all’interno di un armadio sigillato con silicone, con un foro da proiettile alla testa e un sacchetto di plastica sul volto.
Le indagini originali suggerivano che la donna fosse stata prima stordita e poi soffocata, con il delitto avvenuto circa due giorni prima del ritrovamento.
Nuove indagini e tecnologie forensi al centro dell’inchiesta sul delitto
Il pubblico ministero Valentina Bifulco ha incaricato il nucleo investigativo dei carabinieri di riesaminare con strumenti moderni il materiale raccolto negli anni ’90. Al centro dell’attenzione ci sono bossoli di piccolo calibro e un’impronta digitale rilevata sull’anta dell’armadio dove il corpo era nascosto.
L’assenza di segni di effrazione lascia ipotizzare che la vittima abbia aperto volontariamente la porta al suo assassino. Il lavoro giornalistico di Diletta Riccelli e Flavio M. Tassotti ha inoltre messo in luce l’assenza di approfondimenti scientifici sui bossoli trovati, rilanciando la speranza che le nuove tecnologie forensi possano fornire finalmente risposte concrete.
Legami, sospetti e speranze: la famiglia Di Veroli cerca giustizia
Antonella, donna stimata nel suo campo e descritta come riservata e abitudinaria, aveva legami complessi, tra cui un prestito consistente fatto all’ex compagno Vittorio Biffani, già indagato e poi assolto. Oggi, grazie all’evoluzione delle tecniche investigative, si punta a identificare un possibile estraneo attraverso il confronto del Dna raccolto sui reperti, in particolare l’impronta sull’armadio mai attribuita a nessuno.
La sorella Carla, tramite il suo legale, ha espresso fiducia e gratitudine verso gli inquirenti, la famiglia ripone la speranza che questa nuova fase possa finalmente portare alla luce la verità su un caso che ha segnato profondamente una comunità.