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Art Basel, nel caos di Unlimited c'è ancora qualcosa che brilla

Basilea, 23 giu. (askanews) – Unlimited ad Art Basel è la sezione delle opere di grandi dimensioni, quelle che corrispondono meno all’idea di qualcosa da-appendere-alla parete e che, probabilmente con ingenuità, possiamo pensare siano un po’ meno vincolate dall’idea del mercato. Non è così, siamo pur sempre nella parte più spettacolare della principale fiera d’arte globale, ma c’è comunque un tema di scala che, spesso, ha fatto di Unlimited qualcosa di più vivo e disturbante, qualcosa, a tratti, di tenacemente contemporaneo.

Nell’edizione 2025 la sensazione è che, anche sulle opere più monumentali, ci sia invece una patina più didascalica, una strana e piuttosto noiosa ricerca di un Pop aggiornato e senza autoironia, un venire meno del presente come alimento di vera complessità, quella che non usa slogan. Per fortuna tutto questo con delle eccezioni. A partire dalla grande luminaria di Marinella Senatore che ha accolto i visitatori di Unlimited con la sua poesia politica, per passare a una installazione straordinaria di Carl Andre, a un complesso scultoreo e quasi archeologico di Mimmo Paladino o all’opera che sfida la fisica di Arcangelo Sassolino.

A colpire è la quasi totale assenza di opere video, e per chi ama le immagini in movimento è una scoperta straziante, ma le uniche due presenti sono molto interessanti. Quella di Robert Longo su tutte, con una serie di istantanee della nostra storia che si muovono velocissime e ci travolgono in uno spaesamento, che è quello del tempo impazzito che viviamo. Non servono fronzoli, solo uno schermo e un bianco e nero molto contrastato. Ma l’opera parla alle coscienze e all’inconscio, e scatena finalmente una vertigine.

Molto interessante anche il film di Lonnie Holley “I Snuck Off The Slave Ship”, opera presentata al Sundance nel 2019 e allestita in una sorta di piccola cappella. Una specie di canto di se stesso dell’artista e musicista americano che si inserisce nel filone dei film di Arthur Jafa o Theaster Gates. Ironico, politico, solo apparentemente “facile”.

Il mezzo a tanto caos, anche come costruzione di opere, oltre che di utilizzo dello spazio espositivo, un altro lavoro brilla e appare quasi necessario. Una grande bandiera americana, di primo acchito irriconoscibile, che va in pezzi davanti ai nostri occhi. L’artista è uno di quelli importanti, Danh Vo, e mai come oggi quelle stelle cadute appaiono attuali e inquietanti. Anche molto tristi, nel loro contrasto tra la forza brutta del metallo e la fragilità del legno. Tra l’orrore della guerra e l’impotenza della ragione. (Leonardo Merlini)