Il 1° agosto in Svizzera non è solo una data sul calendario, è una festa nazionale. È un momento. È l’attimo in cui un’intera nazione si ferma, anche solo per un secondo, a chiedersi: da dove veniamo? E dove stiamo andando?
Festa nazionale svizzera 1 agosto: tutto parte dal Grütli?
Il prato del Grütli, all’alba, è avvolto da una nebbia sottile.
L’erba è bagnata. Nessuno ancora parla. Poi, lentamente, iniziano ad arrivare le persone. C’è chi ha percorso ore in treno, chi si è svegliato alle cinque, chi semplicemente sentiva il bisogno di esserci. Perché quel prato – che a vederlo così non ha nulla di speciale – è un simbolo.
Qui, raccontano le leggende, nel 1291 tre Cantoni si giurarono fedeltà e aiuto reciproco. Uri, Svitto, Untervaldo. Un patto semplice, scritto su pergamena, ma diventato – col tempo – l’atto fondativo della Svizzera. La “nostra Costituzione antica”, qualcuno la chiama così.
Ma attenzione: nessuno ci ha creduto davvero, per secoli. Il documento fu riscoperto solo nel 1758, abbandonato in un archivio di Svitto. All’epoca era poco più di una nota a margine della storia. Solo alla fine dell’Ottocento il Consiglio federale ne colse il potenziale. E nel 1891 dichiarò il 1° agosto giorno della memoria nazionale. Festa, però, diventò davvero tale solo nel 1994.
E oggi? Oggi la festa nazionale svizzera del 1 agosto è tante cose insieme. È tradizione, certo. Ma è anche resistenza. È chi, in un mondo sempre più frenetico, decide che vale ancora la pena raccontarsi come popolo. Nonostante tutto.
Il discorso del presidente o della presidente della Confederazione si tiene, quasi sempre, proprio qui al Grütli. Quest’anno tocca a Karin Keller-Sutter. L’anno scorso, invece, Viola Amherd parlò altrove, rompendo la consuetudine. E in fondo, va bene così. Perché la coesione non si impone: si coltiva.
Festa nazionale svizzera 1 agosto: tradizione, fuochi e nuove domande
Alle nove di sera, nelle valli ticinesi, le prime esplosioni colorano il cielo. I fuochi d’artificio, rumorosi, vibrano tra le montagne. I bambini saltano, ridono, alcuni si coprono le orecchie. È spettacolo puro, certo. Ma non per tutti. Negli ultimi anni, il dibattito si è acceso: troppo inquinanti, troppo forti, troppo cari. C’è già chi li ha sostituiti coi droni. C’è anche chi propone di vietarli del tutto. Un’iniziativa popolare è sul tavolo. Secondo un sondaggio? La maggior parte degli svizzeri voterebbe sì.
Eppure, qualcosa resiste. Le grigliate nei giardini, l’odore di cervelas abbrustoliti, la birra nei bicchieri di plastica. La nonna che ricorda quando il 1° agosto non era ancora giorno di vacanza. Il papà che racconta la storia di Guglielmo Tell al figlio, ma sbaglia la data. Poco importa. Conta l’intenzione.
Nelle città si organizzano cortei in costume. Lanterne con gli stemmi cantonali. Il coro dei jodel risuona tra le vie, mentre qualche turista – sorpreso – si ferma a filmare. Ma il momento più autentico, forse, arriva quando tutto tace. Quando, tra una parola e l’altra, si sente solo il crepitare dei fuochi.
E poi, l’inno. Il Salmo svizzero, scritto nel 1841, adottato ufficialmente nel 1981. Le parole in italiano non tutti le sanno, ma ci provano comunque. “Cittadino, Dio lo vuol”. Una frase che oggi fa un po’ storcere il naso, forse. Ma resta lì, intatta. Come un ponte con un tempo che non c’è più.
Ognuno vive la festa a modo suo. C’è chi la onora. C’è chi la ignora. Ma tutti, anche solo per un istante, sanno che è il 1° agosto. Che la Svizzera oggi celebra qualcosa di più di un patto antico. Celebra se stessa. Con i suoi dubbi, le sue certezze. Con le sue mille identità, che si tengono insieme nonostante tutto.
E allora sì, anche se il mondo corre veloce, anche se cambiano i governi e le mode, anche se forse un giorno smetteremo di accendere falò, la festa nazionale svizzera del 1 agosto continuerà ad esistere. In forme nuove. Ma con la stessa domanda in sottofondo: chi siamo, davvero?