Il governo della paura: e vissero tutti felici e populisti

I gialloverdi vincono ovunque, dai consensi popolari al successo nelle amministrative: il populismo è l'unica legge sovrana del paese.

La fotografia del nostro paese immortala la terza potenza europea adagiata sulla deriva del populismo.

Difficile realizzare che l’elettorato italiano sia sempre più vicino, giorno dopo giorno, legge dopo legge, sedotto e conquistato dalla linea politica gialloverde. Un viaggio dall’Impeachment a #chiudiamoiporti fino al censimento dell’etnia rom. Un popolo demagogicamente infetto dagli ultimatum salviniani, a bordo di un vascello che risospinto si dirige a gonfie vele verso il “si” inderogabile al sentimento di autodeterminazione tutto italiano. La prova? E’ ineccepibile e incontestabile la crescita esponenziale del consenso di questi partiti (Lega, M5s ndr) dalle elezioni fino alle amministrative.

Prima del 4 marzo 2018, in molti tra i banchi delle redazioni giornalistiche scrutavamo attenti la direzione delle preferenze nelle regionali (Sicilia in particolare ndr).

Chi si considerava un elettore di centrosinistra (nella maggioranza dei casi) ai seggi ha espresso il proprio gradimento a favore del Movimento, chi invece confidava nella coalizione di centrodestra ha riposto la fiducia nel candidato premier del Carroccio. Il populismo ha vinto perchè gli italiani hanno voluto (inconsciamente) che vincesse.

L’europeismo è stato troppo poco affascinante, la spaccatura della sinistra moderata ha disgustato gli elettori. L’unica triste svolta di queste nuove politiche è stata rappresentata dal grande interesse riscosso dal pubblico.

La partecipazione del medio elettorato è schizzata esponenzialmente alle stelle. Italiani spettatori non paganti di una telenovela durata circa novanta giorni: un bailamme di compromessi che hanno portato i grillini a votare al Senato Forza Italia, i leghisti a spaccare la tanto compatta coalizione di centrodestra, e i cittadini ad accettare un Ministro della Famiglia che non riconosce le coppie omogenitoriali, un Ministro degli Rapporti Europei antieuropeista dichiarato, una Ministra del Sud che ha le idee poco chiare sul funzionamento del prodotto interno lordo e infine, un Ministro dei Trasporti che pretende che una nave in emergenza possa “sbarcare” su un’altra imbarcazione piuttosto che sulla terra ferma.

La legislatura populista che vuole censire le etnie

Se evitare che 629 migranti invadessero l’italia respingendo una nave Ong (a cui in un primo momento si aveva prestato aiuto tramite il coordinamento di soccorso di Roma) è sembrata al popolo dei social una vittoria schiacciante contro le direttive europee, allora la futura classificazione (e controllo) dell’etnia rom sarà accolta (si presume) dai cittadini con un grido liberatorio, applausi scroscianti e feste in piazza.

Scelta politica tipicamente destrorsa? Esistono dei precedenti? La regione Emilia Romagna (notoriamente considerata territorio politico della sinistra) nel 2014 condusse uno studio sulle popolazioni nomadi che abitavano il territorio. A capo di questa indagine c’era l’allora presidente Vasco Errani (ex Pd, ora Liberi e Uguali). Lo studio considerò il tasso di natalità, il grado d’istruzione (e le conseguenti iscrizioni negli istituti scolastici) e le prospettive sulle attività lavorative: precetti ben diversi dalle intenzioni di chi si trova d’accordo con la linea esecutiva del Ministero dell’Interno.

“Il censimento dei rom è il primo passo. Il problema è molto più ampio e ha bisogno di soluzioni decise. La nostra proposta è allestire piazzole di sosta temporanee dove ci si può trattenere massimo 6 mesi, perché se sei nomade devi “nomadare”, nel senso che non puoi essere stanziale. Quindi ci si deve spostare”

Giorgia Meloni (Fratelli D’Italia) ai microfoni dei cronisti.

Si può fare il censimento dei rom?

Il vero tentativo di censire i rom tramite un decreto legge fu effettuato nel 2008 da Roberto Maroni (all’epoca titolare del Viminale).

La proposta era orientata verso l’identificazione e la classificazione delle impronte digitali. Il procedimento venne ufficialmente dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato, e sollevò non poche polemiche da parte dell’ambiente di Bruxelles. Dopo la dubbia interpretazione delle leggi internazionali in materia di soccorso in mare (e dei diritti umani) da parte del nostro esecutivo, Matteo Salvini non ha ancora chiarito in quali tempi e modalità si potrà attuare questo procedimento se, di fatto, in Italia non è consentito dalla legge effettuare un censimento su base etnica.

Precisiamo che il nostro paese è già in possesso dei dati utili per stabilire il numero di rom (e sinti) sul territorio. L’Associazione 21 luglio stima la popolazione nomade tra i 120mila e i 180mila individui: di questo 26mila sono in condizioni di emergenza abitativa. Le baraccopoli riconosciute in Italia invece sono circa 150, diffuse in 16 regioni da nord a sud della penisola: si stima che il 43% degli abitanti dei campi rom abbia la cittadinanza italiana.

Ritorno al futuro della demagogia

Mentre la proposta del vicepremier viene accolta con soddisfazione da molti concittadini, sul piccolo schermo Enrico Mentana (direttore di La7) ha preferito ricordare il significato che porta con se l’atto dello schedare una popolazione in base alla propria etnia.

“Voglio ricordare a tutti che in Italia, 80 anni fa, si iniziò a schedare. Voglio farvi vedere un’immagine sola: la fotografia di una denuncia di appartenenza alla razza ebraica. E’ un documento del febbraio 1939, quando un cittadino di Milano, Alberto Segre (padre della senatrice a vita Liliana Segre, ndr), andò davanti al rappresentante del Podestà a dire che lui si dichiarava di razza ebraica, come chiedeva la legge”

Enrico Mentana

Il ricordo storico risalente a più di ottant’anni fa rappresenta il valore più prezioso che appartiene alla cultura italiana. La memoria degli errori di quel tempo può fungere da lente d’ingrandimento sul vero significato del censimento rom. Quella propaganda, alimentata dalla spirale di paura che ruota e avvolge le nostre città, potrebbe svanire se si riuscisse a compiere un momento di riflessione, lontano dalla strumentalizzazione, al riparo da una politica contraddittoria, confusa, di “pancia”.