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Diciamoci la verità: la situazione in Iran è allarmante, eppure sembra che le notizie al riguardo non riescano a penetrare il velo di indifferenza che avvolge gran parte dell’opinione pubblica mondiale. Quando i dissidenti del Consiglio nazionale della resistenza, guidati da Maryam Rajavi, si riuniscono a Roma per alzare la voce contro il regime degli ayatollah, è fondamentale ascoltarli.
La loro denuncia non è solo un atto di coraggio, ma un grido disperato per la democrazia e la libertà, in un contesto in cui il numero delle esecuzioni capitali ha raggiunto livelli inaccettabili.
Il contesto delle repressioni in Iran
La realtà è meno politically correct: negli ultimi mesi, il regime iraniano ha intensificato la sua campagna di repressione. Secondo l’associazione “Nessuno tocchi Caino”, nell’ultimo mese si sono registrate ben 81 esecuzioni, un aumento del 170% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questi numeri non sono semplici statistiche, ma rappresentano vite spezzate e famiglie distrutte. Ogni esecuzione è un atto che segna la brutalità di un regime che non conosce pietà e che cerca di mantenere il controllo attraverso la paura.
Le esecuzioni non sono solo un fenomeno isolato; sono parte di una strategia sistematica per silenziare ogni forma di dissenso. La persecuzione dei dissidenti, delle minoranze etniche e religiose, e la soppressione della libertà di espressione sono all’ordine del giorno. In un Paese dove la libertà personale è un miraggio, la voce di chi resiste diventa tanto più urgente. Ma ci chiediamo: come possiamo rimanere in silenzio di fronte a tale ingiustizia?
Una denuncia che deve essere ascoltata
So che non è popolare dirlo, ma il silenzio internazionale su queste atrocità è assordante. Mentre i leader mondiali si concentrano su questioni di economia e geopolitica, la sofferenza del popolo iraniano continua a essere trascurata. La comunità internazionale ha il dovere di non voltare le spalle. Non possiamo permettere che i diritti umani vengano calpestati senza conseguenze. Il grido di Maryam Rajavi e dei dissidenti è un richiamo alla responsabilità collettiva: non possiamo rimanere inerti di fronte a questa violazione sistematica dei diritti umani.
La repressione in Iran non è solo un problema locale; è una questione globale che coinvolge tutti noi. Quando un regime può agire impunemente, ciò crea un precedente per altri Paesi che potrebbero seguire il suo esempio. La storia ci insegna che il silenzio di fronte all’ingiustizia è complicità, e ora più che mai è necessario alzare la voce. Ci si aspetta da noi una reazione, un impegno: cosa stiamo aspettando?
Conclusione: un invito alla riflessione
Il re è nudo, e ve lo dico io: il mondo ha bisogno di ascoltare il grido di libertà dell’Iran. Le notizie sulle esecuzioni e sulla repressione non devono rimanere nel limbo della disattenzione. L’appello dei dissidenti deve risuonare, non solo in Europa ma in tutto il mondo. La loro lotta è la nostra lotta, e il loro coraggio deve ispirarci a prendere posizione.
Invito tutti a riflettere su ciò che sta accadendo in Iran e a chiedersi: cosa possiamo fare noi, come cittadini globali, per sostenere la libertà e i diritti umani? La risposta non è semplice, ma ogni piccolo gesto conta. È tempo di trasformare la nostra indignazione in azione, e il nostro silenzio in voce. Non possiamo permettere che la storia si ripeta e che l’ingiustizia continui a prosperare. La libertà non è un privilegio, ma un diritto inalienabile di ogni essere umano.