Luca Dotto: "Quando è morta mia madre mi sono svegliato dal sogno di una vita perfetta"

Dalle vette nei 100 metri stile libero all'apnea per superare la scomparsa precoce della madre: Luca Dotto racconta la sua storia a Notizie.it.

Luca Dotto stato il primo italiano ad abbattere il muro dei 48 secondi nei 100 metri a stile libero.

Un risultato sorprendente, ma anche chi riesce a raggiungere questi traguardi così importanti può trovarsi nella vita dovrà affrontare dei momenti di difficoltà, sia professionale che nella vita privata, nella vita familiare, Li si dimostra di essere davvero campioni e avere la forza e la voglia e la forza di ripartire.

Grande sportivo, hai ottenuto questo primato in meno di 48 secondi per i 100 metri stile libero. Ti ricordi quando ti hanno comunicato di aver raggiunto questo risultato come hai reagito?

È stato un risultato storico per me e per il nuoto italiano perché il cento stile libero era stato il territorio di Filippo Magnini nel quale ha vinto per due volte il titolo mondiale.

Io ero sempre stato “designato” come il suo prossimo erede. Ero sotto capace di vincere l’argento ai mondiali nei 50 stile libero, quindi nella distanza più breve, però nella gara dei 100 negli anni a venire c’era sempre qualcosa che non riusciva a funzionare. Mi trovavo sempre in finale ai mondiali, in finale agli europei, però questo questa ambizione di scendere sotto la barriera dei 48 secondi non era stato ancora capace di farla.

Il giorno che sono riuscito a raggiungere questo traguardo è stato – sembra strano dirlo – il giorno in cui meno ci credevo, in cui non mi sentivo pronto per tale traguardo. Però proprio quel quell’atteggiamento di leggerezza e libertà mentale ha fatto sì che le mie braccia e le mie gambe potessero nuotare ad una velocità a cui non erano mai state capaci di andare. Quindi è stato veramente il coronamento per me di tantissimi anni di fatiche, anche perché per tanti anni mi sentivo ripetere “Luca la capacità di scendere sotto i 48 secondi ce l’ha nelle braccia, deve soltanto riuscire a crederci”.

Sai, si dice sempre che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, nel mio caso ci sono di mezzo i 100 metri. È stato veramente un grande traguardo per me che poi comunque si è consolidato visto che poi in seguito quel grandissimo risultato sono stato capace di vincere due europei nei 100 metri stile libero, sia in vasca lunga che in vasca corta, cosa che appunto soltanto Filippo era stato capace di fare qui in Italia.

Insomma, un gran momento della mia carriera.

Al momento invece ti trovi ad uscire da un anno difficile, sia dal punto di vista professionale dal punto di vista personale. Vuoi raccontarci questo anno, appunto, così complicato?

Per mia fortuna, non ha nulla a che vedere con il Covid perchè ho preso il perido di quarantena come un periodo di stop forzato con la giusta filosofia. Chiaramente mi sono messo ad aspettare che la quarantena finisse per poi riprendere gli allenamenti con regolarità da maggio del 2020, da quando hanno dato il via libera alle attività per gli sportivi professionisti.

Il problema si è presentato a giugno, quando purtroppo a mia mamma è stata diagnosticato un cancro alla testa e nell’arco di un solo mese io mio padre l’abbiamo vista andarsene. Io ho sempre raccontato questa esperienza come il momento in cui mi sono mi sono svegliato da quello che era sempre stato il mio sogno perché finora la mia vita era sempre stata perfetta. Sono cresciuta in una famiglia che non mi ha fatto mai mancare nulla, che mi ha dato dei valori molto importanti, quelli del sacrificio del lavoro, che mi ha appunto sempre poi sostenuto in quelli che erano anche i periodi difficili nella mia carriera, che mi ha sempre sostenuto dal momento in cui ho deciso di dedicarmi al 100% a quello che era il nuoto.Fino a quel momento, ripeto, la mia vita è stata perfetta: sono stato vincente nella mia carriera, ho avuto sponsor, un po’ di fama, avevo vissuto in una bolla.

Fondamentalmente è stato un risveglio molto brusco, dal quale sembra retorico dirlo, sono uscito più forte. Lì per lì ne sono uscito veramente bastonato, avevo perso la voglia di fare qualsiasi tipo di cosa, anche semplicemente svegliarmi ed andare ad allenarmi nei mesi successivi. Soltanto poi decidendo di affrontare i problemi che mi aveva lasciato un’esperienza così drammatica sono riuscito e sto riuscendo – perché comunque è un processo che sta andando avanti e non è ancora terminato – a ritrovare quella luce e quella voglia di fare, di rimettermi in gioco di tornare a fare dei sacrifici tali che servono per raggiungere dei grossi obiettivi nell’ambito sportivo.

Noi sportivi siamo privilegiati, perché facciamo della nostra passione più grande il nostro lavoro e me ne rendo conto quando parlo con i miei amici, con la gente della mia età che non la fortuna di fare del proprio sport la loro professione. Quindi tanta gente vede soltanto quelle che sono le vittorie, che per carità ci sono, ma esistono anche le sconfitte e magari si dice “ah si è impegnato poco, non ci credeva abbastanza”.

Poche volte si parla di quella che è la salute mentale di noi atleti che chiaramente per riuscire a fare determinate cose dobbiamo far sì che la nostra testa giri non al 100% ma al 110%. Dal momento in cui c’è anche una singola vite che non va bene, che balla un pochino all’interno di quello che il meccanismo, automaticamente il tuo corpo non riesce a dare il 100% delle proprie possibilità.

Che poi è quello che fa la differenza soprattutto magari in uno sport come il mio dove anche dei centesimi di secondo possono fare la differenza tra una vittoria, un podio e una sconfitta.

Parlavi di come i tuoi genitori abbiano sempre sostenuto il tuo percorso di allenamento. Ti ricordi quando, da giovanissimo, hanno capito che c’era del talento da incentivare?

Io sono stato molto fortunato da questo punto di vista perché tante volte ci sono i genitori che vedono il talento e forzano i figli a dare il massimo, ad impegnarsi al massimo, a ricercare per forza il risultato.

La cosa invece importante per i miei genitori era che prima di qualsiasi altra cosa io mi divertissi. Vedevano che avevo il talento perché da piccolino rispetto i miei compagni, ai miei vecchi compagni di allenamento, ero quello che faceva meno allenamenti alla settimana che durante gli allenamenti si impegnava anche un po’ di meno rispetto agli altri, però visto quello che era il mio talento – naturale – riuscivo comunque nelle e prime gare, a vincere le medaglie a qualificarmi sempre per i primi campionati italiani giovanili con veramente il minimo sforzo rispetto agli altri.

Però da parte dei miei genitori non c’è mai stata la pressione di dire devi fare un risultato. La cosa che a loro non importava era “Luca, ti sei divertito?”. Io tornavo a casa la domenica delle gare non mi chiedevano che tempo avessi fatto, se ero arrivato secondo, terzo, primo o ultimo. L’importante era “Luca ti sei divertito?”. Sotto questa filosofia, chiamiamola così, io sono potuto crescere amando il nuoto, non odiandolo perché parliamoci chiaro: il nuoto è uno sport incredibilmente noioso durante gli allenamenti.

O ti piace la sensazione dell’acqua, sennò non c’è nulla fondamentalmente di divertente perché non è un gioco. Non è come il tennis, la pallacanestro, il calcio dove poi tra l’altro c’è anche un’aggregazione sociale con i tuoi compagni di squadra. Nel nuoto non parli purtroppo mentre fai una vasca e gli esercizi, quindi o ti piace o non ti piace. Io per fortuna riuscivo a divertirmi grazie soprattutto alle gare, meno con l’allenamento, e poi il passaggio successivo nel rendermi conto che cosa avevo a disposizione, di quello di cui che era dotato il mio corpo, di quello che era mio talento, l’ho fatto da solo dal momento in cui sono diventato più grande e da quando ho raggiunto i 16-17 anni ed ho iniziato a vedere quelle che erano le possibilità, quelle che erano le capacità che avevo e dire a me stesso: “Ok ora mi impegno al 100% e vediamo dove mi porterà”.

I miei genitori mi hanno sempre detto impegnati fai le cose fatte bene perché se no non vale la pena: “Fare una cosa per farla fatta male piuttosto cambiamo, però basta che ti diverti. Dal momento che poi non ti diverti più, anche se sei forte anche se vinci, facciamo qualcos’altro”. Di questo li ringrazierò per sempre perché troppi genitori purtroppo bruciano i loro figli, bruciano il talento dei loro figli per le loro aspettative.

Da giovanissimo come facevi a conciliare gli allenamenti, che immagino siano impegnativi, oltre che di tempo anche di fisico, con lo studio?

Mio padre mi ha dato quello che hai un grandissimo consiglio, ovvero stai attento in classe. Infatti io, il più delle volte, anche le superiori facevo tantissima attenzione durante la mattina. Prendevo gli appunti direttamente da quello che diceva il professore e questo mi aiutava perché facevo metà di quello che era il lavoro che poi avrei dovuto fare a casa.

Anche perché poi finivo la scuola verso l’una, l’una e mezza. Entravo in acqua alle due e tornavo a casa verso le 5:00-5:30, certe volte anche alle 6:30 perché avevo già iniziato a fare palestra. Chiaramente sei fuori casa dalle 8:00 della mattina, arrivi a casa alle 6:00 del pomeriggio, erano più le volte che prendevo sonno con il libro sulla faccia. Però questa furbizia di stare attento la mattina faceva sì che anche studiando un’ora, un’ora e mezza il pomeriggio mi aiutava tanto. Una delle domande che mi fanno più spesso i ragazzini, anche durante quella che la mia Academy, è sempre: “Eh ma i professori non capiscono, di qua di là”. Rispondo dicendo: ragazzi sarebbe bello trovare dei professori che ti aiutano, che ti capiscono e quant’altro. Purtroppo la scuola italiana non aiuta gli sportivi. Anche nel mio caso comunque ho avuto tanti professori che remavano contro quella che era la mia passione, quella che era la mia voglia di dedicarmi così tanto al nuoto. Non vedevano un futuro in vasca. Non mi aiutavano quando era via con la nazionale e stavo via due settimane. Il giorno dopo del mio ritorno dovevo fare un compito o una verifica. Non mi hanno mai fatto favori. Però una cosa che insegna lo sport è la capacità di sacrificarsi. Questo ci rende forti anche nell’ambito scolastico, perché comunque sono le stesse cose se si vuole raggiungere l’obiettivo che è la sufficienza minima per quello che è un compito una verifica. Sono sacrifici che si fanno anche nello sport. È veramente facile raggiungere anche degli obiettivi più che discreti nell’ambito scolastico.

Nel tuo percorso hai parlato di allenamento in vasca, poi hai detto “comincio a fare palestra”. Quindi il nuotatore deve allenarsi anche in palestra e come concilia le due cose? Nel senso, l’allenamento in palestra non può in qualche modo essere addirittura nocivo per la vasca?

L’allenamento a secco è importantissimo. La mia generazione, quella generazione nata nel ‘90 e che oggi ha 30 anni, ha iniziato troppo tardi a curare questo tipo di aspetto in quella che è la didattica muscolare. La palestra può essere nociva perché chiaramente per aumentare quelle che sono le masse muscolari quindi di conseguenza anche il tuo peso può incidere negativamente su quello che è il tuo assetto, su quella che è la tua leggerezza in acqua. Non ha alcun senso sollevare 150 kg, faccio un numero a caso, di panca piana se poi in acqua quel tipo di forza non la si riesce ad applicare nella maniera corretta. È meglio riuscire ad alzare la metà, ma essere poi efficaci in acqua. Avere un movimento rotondo, morbido, non a scatti che ti consenta appunto di avere un’ottima propulsione in acqua. Però chiaramente diversificare quelli che sono gli allenamenti è molto molto utile, perché per quanto noi nuotatori sia come conosciuti come si degli squali, siamo agili, forti, resistenti, nel momento in cui ci metti fuori dall’acqua siamo delle papere, ovvero un sacco di nuotatori sono letteralmente impediti a fare qualsiasi tipo di altra attività sportiva al di fuori dell’acqua. Questo comunque è nocivo a lungo andare in quella che è l’attività professionistica perché dal momento in cui ti dai degli obiettivi sempre più alti ti troverai a confrontarti con delle persone sempre più forti, avversari sempre più capaci. Quelle che sono le caratteristiche fisiche e atletiche di una persona fanno la differenza. Ora come ora rispetto a 15-20 anni fa, il nuotatore d’elitè a livello mondiale è un atleta a 360 gradi. È bravo in acqua, però anche in palestra a livello atletico, a livello di ginnastica, è capace di muoversi in determinate maniere. Ha una coordinazione molto efficace al di fuori dell’acqua e questo fa sì che aumenti quello che il suo bagaglio atletico, che poi viene trasferito in acqua di conseguenza. La mia generazione, ripeto, ha iniziato troppo tardi questo tipo di percorso. I ventenni hanno iniziato molto prima questo tipo di percorso e infatti a livello atletico sono molto molto più avanti rispetto a quando avevamo noi vent’anni. Di conseguenza come generazione sono molto più efficaci anche in acqua.

Incredibile pensare come nel mondo dello sport ci sia in anagrafica a se stante. Un trentenne in qualche modo è già da ritenersi, non dico vecchio, però insomma… Anche se nel campo del nuoto sappiamo che ci sono delle eccellenze che sono andate anche molto avanti negli anni a gareggiare e anche a vincere. Abbiamo parlato di come sono stati importanti nel tuo percorso i tuoi genitori, ma c’è anche un’altra figura fondamentale per il tuo successo che è stata Filippo Magnini. Vuoi raccontarci un po’ il tuo rapporto con lui?

Con Filippo c’è un bellissimo rapporto di amicizia. Ho conosciuto Filippo quando avevo 19 anni, quindi proprio all’inizio di quella che era la mia carriera a livello assoluto. Arrivavo dalla carriera internazionale giovanile e avevo vinto gli europei giovanili. Quando nel 2009 mi è stata offerta la possibilità di potermi allenare insieme a lui l’ho subito colta al volo perché chiaramente Filippo in quegli anni era il nuotatore più forte del mondo nei 100 metri stile libero, la mia stessa gara. Ho avuto solo da imparare da quella che è la figura sportiva di Filippo perché dal primo momento che sono arrivato a Roma alla sua, chiamiamola così, corte ho subito cercato di capire il modo in cui si allenava, la serietà con cui affrontava gli allenamenti e la vita fuori dalla vasca. La vita di uno sportivo non si limita soltanto all’allenamento, ma continua dal momento in cui tu sei a casa. Come ti riposi, come mangi, come integri. Mi ha fatto capire che affrontare questo tipo di attività veramente da professionista è un impegno che va avanti 24 ore su 24, sette su sette e non ci sono diciamo giorni off, dove puoi sgarrare più di tanto. Da questo punto di vista se io sono diventato il nuotatore che sono oggi, se sono uscito vincere quello che ho portato a casa durante gli ultimi anni è anche merito suo perché chiaramente avere così una figura di spicco, così di ispirazione mi ha aiutato tantissimo. Se non avessi avuto nessuno del suo carisma e del suo spessore al fianco durante gli allenamenti molto probabilmente non sarei riuscito a crescere in questa maniera. Poi per fortuna siamo riusciti anche a costruire un bellissimo rapporto di amicizia, che va avanti negli anni, anche adesso ha smesso di nuotare e non ci vediamo più giornalmente a bordo vasca. È una cosa anche abbastanza rara, perché è difficile. Io mi sono messo poi nei suoi panni ora, quando vedo i giovani che stanno venendo avanti. Chiaramente è difficile, non dico accettare, però sai, non avere quel briciolo di invidia nei confronti del giovane che sta venendo su e vederlo magari come una spina nel fianco. Anche in questo ho cercato di imparare il più possibile da lui e vedere quelle che sono le nuove generazioni sì come dei rivali da battere, però soprattutto in primis da rispettare. Lui ha fatto così con me e mi ha insegnato in questa maniera, quindi io a mia volta punto entrato rispettare poi i nuovi nuotatori.

È un mondo molto competitivo quello del nuoto?

Si certo. Ogni anno ci sono figure nuove che escono fuori, talenti nuovi che emergono. Non è facile stare tanti anni al top e riuscire sempre a mettere la mano davanti, non soltanto a livello internazionale, ma anche e soprattutto a livello nazionale, quindi italiano. Il movimento è in continua espansione e tanti nuotatori hanno momenti di crescita diversi. Magari c’è quello che arriva alla maturità fisica a 20 anni e quello che invece ci arriva 24 e tu te lo ritrovi che ti nuota spalla a spalla. Chiaramente è un tipo di sport che non ti permette di abbassare mai la guardia, in cui appena tu inizi ad abbassare l’intensità del tuo impegno, sia in allenamento che a casa, quando non vai a dormire a determinati orari o mangi come capita, questo fa sì che poi la differenza la si vede subito nel cronometro.

Ci raccontavi di come non sempre la scuola in qualche modo incentivi i ragazzi che intraprendono un percorso parallelo, sportivo, a differenza invece dello Stato che cerca di aiutare gli sportivi. Tu sei nel Corpo Forestale dello Stato.

Dal 2009 sono nel Corpo Forestale dello Stato è da Gennaio 2017 nel corpo dei Carabinieri.

Questo metodo con cui lo Stato cerca di aiutare gli sportivi ultimamente è stato oggetto di una discussione piuttosto accesa. Facciamo capire qual è l’importanza di far entrare gli sportivi nelle forze armate, nelle forze dell’ordine, per tutelare un po’ quello che è il talento sportivo italiano?

Per incentivarlo soprattutto. Se non ci fosse lo Stato e non ci fossero la volontà ed i sacrifici che fanno i corpi militari, come appunto nel mio caso Carabinieri, o per citarne altre Esercito, Polizia, Fiamme Gialle, lo sport professionistico in Italia non esisterebbe. Questo perché le società che possono permettersi di pagare direttamente atleti sono veramente poche e non parlo solo del nuoto, ma a 360° di tutti gli sport. Quindi di conseguenza le grandi vittorie, i grandi risultati, a cui lo sport italiano ci ha abituato soprattutto nell’ultimo anno. Il record storico all’Olimpiade che venivsa da Sidney 2000, abbiamo vinto medaglie. È un anno nel quale in qualsiasi sport vinciamo a livello europeo o mondiali. È qualcosa di incredibile. Tutto questo non sarebbe possibile, perché chiaramente per finanziare l’intero movimento sportivo Italiano servono milioni di euro. La polemica posso capirla dal momento in cui c’è una persona che di sport non se ne intende, perché dal momento in cui invece una persona ha leggermente vissuto un po’ di spot sulla sua pelle sa tutto quello di cui noi abbiamo bisogno per poter fare l’attività a livello professionale al 100%. Quindi è una polemica che fondamentalmente, dal mio punto di vista, non esiste e muore nel momento in cui nasce. Se vogliamo riuscire ad avere grossi risultati a livelli sportivo lo Stato chiaramente è l’unico modo che noi possiamo avere per poterci sostenere.Gli atleti che hanno la fortuna di avere degli sponsor sono pochi e, ripeto, le società a livello civile che si possono permettere di pagarli sono ancora meno. Lo sport italiano senza i gruppi militari sarebbe destinato purtroppo, ahimé, a morire perché noi atleti non avremmo la possibilità di vivere tramite lo sport, ma dopo pochi anni dovremmo mollare e cercare un normale lavoro.

Abbiamo parlato di come quest’anno sia stato molto difficile, però come dicevo all’inizio, il campione non si vede soltanto al tempo in cui riesce a fare 100 metri in stile libero, ma anche quando riesce a rialzarsi nei momenti di difficoltà. Tu stai facendo di tutto per rialzarti, rilanciando te stesso anche con nuove e ancora più importanti sfide da voler raggiungere.

Molto, molto difficile. Nel primo periodo, lo sono dico tranquillamente, mi sono abbandonato al mio lutto, al mio momento di dolore perché prima di tutto ho dovuto accettarlo. Ho dovuto accettare la nuova situazione purtroppo drammatica che avevo. Dopodiché chiaramente quella che anche la mentalità che ho costruito tramite lo sport ha fatto sì che mi rialzarsi e che tornassi a guardare avanti a me e a quelle fondamentalmente le sfide che mi aspettano in futuro. Per far questo ho anche cercato di stimoli diversi perché chiaramente dopo tanti tanti anni di carriera a livello professionistico si può rischiare di finire un po’ in quella che è la monotonia, soprattutto dopo un momento così difficile. Una scossa di novità era quello di cui avevo bisogno, quindi dopo ben 12 anni di sodalizio ho deciso di affidarmi ad una nuova vita tecnica. Ho detto addio, tra virgolette a Dio, il mio allenatore, che era anche l’allenatore di Filippo Magnini, con il quale ho comunque fatto cose incredibili. Abbiamo vinto più di 30 medaglie a livello internazionale e record dei 100 metri stile libero insieme. Sarò sempre grato a Claudio Rossetto e al lavoro che abbiamo svolto insieme. Adesso mi faccio seguire da un allenatore che è Alessandro Mencarelli che per anni ha collaborato con Claudio Rossetto, quindi non è una figura nuova che non mi conosce, anzi mi conosce molto bene. Mi ha visto crescere, soprattutto in palestra, visto che è stato anche il mio allenatore di palestra per tanti anni. Poi la novità più grossa è l’aggiunta di Mike Maric, che è stato campione del mondo e anche il recordman mondiale di apnea nel 2004, al mio staff della preparazione. L’apnea è un mondo che ho amato sin da piccolino perché, come amante dell’acqua a 360°, quando ero in vacanza ero sempre in acqua con maschera e pinne e già da bimbo cercavo di fare i piccoli record personali di apnea. Vedere quanto riuscivo a trattenere il fiato, quanto in profondità riuscivo a scendere. Qualche anno fa, grazie tra l’altro sembra Filippo, ho conosciuto Mike e fin da subito c’è stata una grossa empatia ed è nata una grandissima amicizia. Mi ha avvicinato ancora di più al mondo dell’apnea, ma soprattutto al mondo della respirazione. Questo mi sta aiutando tanto a risolvere i miei momenti di tristezza e di debolezza interni, perché tramite le tecniche di respirazione riesco a rilassarmi. Riesco a svuotare la mente e quindi sto scoprendo un mondo completamente nuovo che fino a qualche anno fa ignoravo completamente. Sto scoprendo i benefici di queste tecniche e anche quanto sia difficile riuscire a respirare correttamente, cosa che noi pensiamo di fare in maniera naturale e invece dal momento in cui mi sta seguendo un professionista del respiro, ho capito che il modo in cui che noi pensano di respirare è completamente sbagliato da quello corretto.

Qual è l’obiettivo che ti sei prefissato?

Mi sono prefissato di unire questi due mondi, quello dell’apnea e quello del nuoto e poi vedere i risultati concreti che porterà questo tipo di comunione. Chiaramente le mie sono gare brevi, sono molto frenetiche che hanno bisogno di una concentrazione massima. Sbagliare il minimo dettaglio, il minimo particolare può farti perdere qualche centesimo, qualche decimo che, come dicevo prima, può fare la differenza tra una vittoria è una sconfitta. Sto cercando di unire la respirazione soprattutto nei momenti precedenti alla gara, in modo tale da concentrarmi nella maniera corretta, nel poter immagazzinare più ossigeno possibile prima di una gara in modo tale da avere una riserva d’aria molto molto più grande rispetto a quella a cui ero abituato ad avere. Quindi staremo a vedere. Sarà un bel cammino da qui alla prossima Olimpiade di Parigi del 2024.

Una curiosità. 48 secondi, anzi meno di 48 secondi, sono pochissimi per fare 100 metri a stile libero, ma in 48 secondi i pensieri possono essere davvero tanti. Che cosa pensa un campione mentre sta realizzando il suo obiettivo?

Sembra strano, ma niente. È un po’ difficile da spiegare. Durante gli allenamenti abbiamo la possibilità di pensare perché chiaramente cerchiamo di migliorare i nostri movimenti, di spingere il nostro corpo oltre il proprio limite per aumentare la nostra capacità di spingere, la nostra resistenza. Però un atleta quando ricerca la prestazione assoluta, nel momento della gara deve avere la testa il più sgombra possibile. I momenti prima della gara non ti devi far non ti devi far distrarre da qualsiasi cosa, né nel pubblico, né dalla gente, né del tuo avversario. Anche durante la gara, se ti ritrovi a pensare, sai già che andrà male. Questo perché durante l’allenamento cerchiamo di ripetere sempre di più, per milioni di volte, le stesse cose. Cerchiamo di meccanizzare quel tipo di movimento per far sì che durante la gara il nostro corpo sa già esattamente quello che deve fare e non ci deve essere un pensiero. Non devo essere li a pensare a come muovo il braccio, a come muovo le gambe. Il mio corpo dal momento in cui io stacco la testa e lo lascio andare libero deve già sapere di memoria muscolare i movimenti che deve fare. Quindi io, per esempio, ho ricordo di quando ho fatto quel record e di tante altre gare, grazie a Dio, della mia carriera dove sono riuscito ad avere ottimi risultati, ma negli attimi dentro la gara erano proprio in foga. Una specie di flow, un’onda interiore che ti porta a muoverti senza pensarci. Meno si pensa e più si va forte fondamentalmente.

C’è un allenamento per riuscire a non pensare?

C’è anche la parte dell’allenamento che riguarda la testa. Qui fanno quando il grosso del lavoro gli psicologi dello sport, le figure come i mental coach. Ci sono tantissime tecniche di concentrazione, ognuno ha la sua. La cosa che noi atleti dobbiamo cercare di fare è trovare una figura professionale che si possa affiancare anche in questo tipo di allenamento, che disponga delle empatia giusta nel comunicare con noi, che capisca di quello che di cui abbiamo bisogno e che ci metta nella corrente di pensiero giusta per poter affrontare l’ansia da prestazione e anche quella che è la prestazione di per sé. Io, per esempio, nella mia carriera ne ho trovati 3, tra mental coach e psicologi dello sport, e devo dire che ho sentito la differenza perché, soprattutto se arrivi da un periodo in cui per vari motivi le gare non vanno più come vorresti, ti ritrovi magari con la testa piena di dubbi e quant’altro. Non ne vieni fuori senza un aiuto da parte di un professionista. Faccio sempre un esempio su questo. Io posso avere una Ferrari a disposizione, ma se la guido io non potrei mai essere in grado di guidarla come la guida Leclerc. Il pilota è dentro la nostra testa, il corpo è come se fosse la macchina. Tante volte in certe prestazioni anche se non si è preparati al 100% se uno è realmente convinto dei suoi mezzi ed ha una capacità di concentrazione così alta da estraniarsi da tutto quanto il resto e lasciare che il proprio corpo vada senza alcun tipo di freno va molto più forte anche rispetto a un avversario che sta al 100% della sua condizione fisica, ma ha quel 5% di dubbio che dentro la sua testa gli crea un tarlo che va a irrigidire i suoi movimenti. Va a rendere meno naturale la sua nuotata o, comunque, la sua corsa perchè è un discorso che si applica a tutti gli sport. Questo fa capire anche quanto é importante la preparazione mentale ad un livello sportivo così alto.

Grazie Luca e in bocca al lupo per questa nuova avventura. Sono sicuro che ti sarà da stimolo per superare quest’anno e mezzo di difficoltà.

Grazie e crepi il lupo.