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Perché i lavori in altezza continuano a essere una roulette russa

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Un volo di 20 metri e tre vite spezzate: cosa non va nella sicurezza sul lavoro?

Un tragico incidente avvenuto in una palazzina di sei piani ha portato alla luce una verità scomoda: il rischio nei lavori in altezza è spesso sottovalutato. Tre operai, Luigi Romano, Ciro Pierro e Vincenzo Del Grosso, hanno perso la vita a causa di un crollo del montacarichi mentre eseguivano lavori di manutenzione sul tetto.

Ma dietro questo dramma, ci sono domande inquietanti sulla sicurezza e sull’efficienza dei controlli.

Il re è nudo: la sicurezza nei lavori in altezza è un miraggio?

Diciamoci la verità: gli incidenti sul lavoro, specialmente quelli che coinvolgono lavori in altezza, sono un tema che fa storcere il naso a molti. Troppo spesso, le morti sul lavoro vengono considerate come statistiche, numeri da analizzare piuttosto che vite spezzate. Eppure, ogni volta che si verifica un incidente, il coro dei “responsabili” si fa sentire: controlli più severi, normative più rigide… ma la realtà è ben diversa. Se ci fermassimo un attimo a riflettere, ci accorgeremmo che gli incidenti come quello di Napoli non sono affatto rari.

Secondo i dati dell’INAIL, nel 2022 si sono registrati oltre 1.300 infortuni mortali sul lavoro, con una percentuale significativa legata a cadute dall’alto. E sebbene i datori di lavoro siano obbligati a garantire la sicurezza dei propri dipendenti, spesso si ricorre a soluzioni temporanee o, peggio ancora, a risparmi sui costi di sicurezza. Insomma, stiamo parlando di un settore dove il profitto calpesta la vita umana, e questo è un fatto scomodo da affrontare.

Un’analisi controcorrente: la cultura della sicurezza è solo un mito?

Analizzando la situazione, ci si rende conto che la cultura della sicurezza sul lavoro è una favola raccontata per addormentare le coscienze. Gli operai, spesso malformati e malpagati, si trovano a lavorare in condizioni precarie, con strumenti inadeguati e senza la necessaria formazione. In questo contesto, la responsabilità non ricade solo sui datori di lavoro ma anche su un sistema che ignora le denunce e le segnalazioni, lasciando i lavoratori in balia di situazioni rischiose.

Prendiamo ad esempio il caso del montacarichi crollato: la procura di Napoli ha aperto un’inchiesta per capire se si è trattato di un difetto strutturale o di un eccesso di peso. Ma pochi si chiedono: perché un sistema di controllo tanto vulnerabile è permesso di operare? La risposta è che, nella maggior parte dei casi, la sicurezza è vista come un costo e non come un investimento. Così, l’idea che la vita di un lavoratore valga meno di un montacarichi malfunzionante diventa la norma.

Conclusioni scomode: il prezzo del silenzio

In conclusione, il tragico incidente che ha colpito Napoli non è solo una notizia da cronaca, ma un campanello d’allarme sullo stato della sicurezza nei lavori in altezza. Ogni caduta, ogni vita spezzata, è il risultato di un sistema che ignora il rischio e sottovaluta le conseguenze. La verità è che, se non cambiamo mentalità, continueremo a piangere vittime anziché prevenire incidenti.

Facciamo un passo indietro e chiediamoci: cosa possiamo fare per cambiare questa narrativa? È ora di mettere in discussione le nostre convinzioni e di affrontare la realtà per quella che è, senza filtri. La sicurezza sul lavoro deve diventare una priorità e non un optional. Solo così potremo sperare di evitare altri tragici eventi come quello di Napoli.