Il saluto fascista è reato, "non è un fatto di lieve entità"

Il saluto romano rimanda all'ideologia fascista ed evoca valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza. Ora è reato

La Cassazione, con la sentenza 21409, ha confermato la condanna per un avvocato nostalgico del regime.

Nel corso di una seduta del Consiglio comunale di Milano, in occasione della presentazione del “Piano Rom”, il legale aveva steso il braccio accompagnando il gesto con la frase “presenti e ne siamo fieri”. Il saluto romano rimanda all’ideologia fascista ed evoca valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza. Il gesto è ora reato, anche nei casi in cui non risulta accompagnato da alcuna violenza. La legge, infatti, è finalizzata ad una tutela preventiva, tipica dei reati di pericolo.

Così precisa il Sole 24 Ore.

Il caso dell’avvocato milanese

Le parole dell’avvocato erano state pronunciate in risposta alla domanda posta da un consigliere che voleva sapere dal presidente se c’erano in aula gli organizzatori di una precedente protesta anti-rom, perché in tal caso, l’avrebbe abbandonata. Inizialmente un assessore aveva criticato il suo comportamento. Poi un imputato, aveva iniziato a muovere la mano da destra verso sinistra.

Quindi, si era difeso dicendo che il braccio alzato serviva solo a segnalare la sua presenza e a salutare l’assessore.

I giudici però non ne sono convinti, negando anche l’applicazione dell’articolo 131-bis del codice penale, che consente, anche in caso di reato, di restare impuniti, quando il fatto è particolarmente lieve. Per la Suprema corte non è questo il caso. Il saluto romano, accompagnato dalla parola “presente” è fuori legge. Questo, infatti, evoca il disciolto partito fascista “che appare pregiudizievole dell’ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi”.

Inoltre, si tratta di un “saluto” in uso a organizzazioni o gruppi che diffondono idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale.

La sentenza

Il gesto diventa ancora più grave se, come nel caso esaminato, viene fatto in un contesto istituzionale.

Infatti, si trovavano in una seduta pubblica di particolare importanza, su sicurezza e coesione sociale. Il processo si svolgeva a margine di una manifestazione di protesta organizzata a Piazza San Babila dallo stesso imputato. L’uomo era stato inviato a prendere parte ai lavori proprio per farlo desistere dal suo comportamento. Anche la frase “presenti e ne siamo fieri” era da collegare alla precisa volontà di rivendicare orgogliosamente il credo fascista.

Così hanno aggiunto i giudici.

Non passa neppure la tesi, sostenuta dalla difesa, della provocazione insita nell’intenzione, manifestata dall’assessore di lasciare la sala, se fossero stati presenti gli organizzatori della manifestazione. Così riporta ancora il Sole 24 Ore. Senza insultare, il consigliere aveva manifestato il suo risentimento per l’eventuale presenza in aula di esponenti di estrema destra, esprimendo così un punto di vista semplicemente politico. Non passa neppure il tentativo di sollevare problemi di incostituzionalità riguardo all’indeterminatezza del Dl 122/1993 che rimanda alla legge Mancino (654/1975).

Quest’ultima vieta la diffusione di idee fondate sull’odio etnico. La Suprema corte ha già chiarito che il diritto alla libera manifestazione del pensiero finisce dove inizia l’istigazione al razzismo.