Roma, 13 giu. (askanews) – È attesa per giovedì 26 giugno la sentenza di primo grado nel processo Pfas in corso davanti alla Corte d’Assise di Vicenza, considerato uno dei più rilevanti procedimenti giudiziari in materia ambientale in Italia. In questo processo, acquevenete – società pubblica che gestisce il servizio idrico integrato in 107 Comuni – si aspetta un verdetto capace di segnare un precedente storico, che possa dissuadere altre aziende da comportamenti illeciti e promuovere una maggiore responsabilità verso la protezione dell’ambiente e della salute pubblica.
La costituzione di acquevenete come parte civile nasce dalla necessità di difendere il diritto dei cittadini a un’acqua sicura e pulita, a fronte di una contaminazione che ha colpito sei Comuni del proprio territorio, ricadenti nella cosiddetta “area rossa”, quella a massima esposizione sanitaria da Pfas. È in queste aree che l’inquinamento ha avuto gli effetti più gravi, rendendo l’ente parte lesa diretta in uno dei casi di contaminazione ambientale più vasti mai affrontati nel Paese. Nel processo sono imputati 15 tra manager ed ex dirigenti di Miteni, Icig e Mitsubishi Corporation, accusati – a vario titolo – di reati gravissimi: avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione non autorizzata di rifiuti, inquinamento ambientale e reati fallimentari.
L’impegno di acquevenete sul fronte della sicurezza idrica è stato costante: negli anni ha investito oltre 35 milioni di euro per mettere in sicurezza l’acqua destinata alle popolazioni coinvolte. L’ente ha realizzato nuove infrastrutture, potenziato gli impianti esistenti e introdotto sistemi avanzati di filtrazione, in un’azione preventiva e di contenimento che non ha mai subito rallentamenti, nemmeno nei momenti più complessi dell’emergenza.
La società del servizio idrico ha richiesto un risarcimento di 8 milioni di euro, affidando la propria difesa all’avvocato Angelo Merlin, che in aula ha ricostruito gli sforzi dell’ente per garantire un’acqua priva di Pfas e ha evidenziato la responsabilità degli imputati nella contaminazione. “Il reato su cui ci siamo maggiormente soffermati è quello di disastro volontario ambientale”, ha dichiarato Merlin, sottolineando come “il dibattimento abbia dimostrato che la contaminazione delle acque ha origine nello stabilimento Miteni e si estende fino ai pozzi destinati all’uso potabile, arricchendosi proprio sotto l’area industriale”. Secondo il legale, all’interno dell’azienda “non venivano eseguiti i controlli previsti dalle norme e, laddove apparivano rispettati, ciò avveniva con falsità nelle comunicazioni agli enti pubblici”. Merlin ha parlato apertamente di un “ente criminale dal punto di vista criminologico” e denunciato il fatto che, ad oggi, “nessuno ha ancora posto fine alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche”.
A ribadire la richiesta di giustizia è intervenuto anche Piergiorgio Cortelazzo, presidente di acquevenete: “Di fronte a un disastro ambientale di questa portata non si può restare in silenzio. Abbiamo fatto la nostra parte, intervenendo con prontezza e determinazione. Ora ci aspettiamo che anche la giustizia stabilisca un principio forte: chi inquina deve pagare. Non si tratta solo di un risarcimento economico, ma di una questione morale, un atto dovuto nei confronti delle nostre comunità. Finora sono stati i cittadini a sostenere i costi dell’inquinamento. È indispensabile che siano i responsabili a rispondere delle proprie azioni”.