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Sudan: una crisi umanitaria paralizzata dalla volontà militare golpista

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Mohamed Khaleef (Darfur) – Il Sudan non è più soltanto un campo di battaglia, ma un luogo di collasso sistematico dello stato e della società allo stesso tempo.

 

Mentre le Nazioni Unite si limitano a lanciare avvertimenti, la situazione sul campo rivela una crisi che supera la classificazione umanitaria tradizionale, avvicinandosi a una catastrofe geopolitica che mette l’intera regione a rischio esplosione.

La dichiarazione delle Nazioni Unite dell’11 aprile, secondo cui 30 milioni di sudanesi necessitano urgentemente di assistenza e 12 milioni sono sfollati, non dovrebbe essere vista semplicemente come una cifra, ma come un campanello d’allarme per un imminente collasso sociale, con il concetto stesso di “stato” che svanisce sotto il controllo militare totale dello spazio politico ed economico.

L’infrastruttura umanitaria sotto attacco: aiuti assassinati e criminalità radicata Le operazioni umanitarie in Sudan affrontano sfide esistenziali, con crescenti attacchi contro le squadre di soccorso, ormai facili bersagli nella guerra. Le Nazioni Unite confermano che i lavoratori umanitari sono presi di mira “impunemente”, mentre vengono commessi gravi abusi come stupri di massa ed esecuzioni sommarie, nel quasi totale silenzio governativo. Nel frattempo, l’esercito sudanese sprofonda nelle violazioni gravi insieme alle milizie estremiste alleate nella devastante guerra civile che dura da oltre due anni.

L’Osservatorio Nazionale Sudanese per i Diritti Umani ha documentato massacri eseguiti da milizie legate all’esercito a sud di Khartoum. Recentemente, anche le città di Khartoum e Wad Madani sono state teatro di gravi violazioni da parte dell’esercito sudanese e delle milizie alleate, come riportato da fonti internazionali attendibili. A Khartoum, l’ONU ha espresso “orrore” per le esecuzioni extragiudiziali diffuse, con l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, che ha sottolineato come “l’uccisione deliberata di civili o di persone non coinvolte nei combattimenti costituisca un crimine di guerra”. Anche a Wad Madani, Human Rights Watch ha accusato le forze affiliate all’esercito, tra cui “Scudo del Sudan” e “Battaglione Al-Bara bin Malik”, di aver commesso crimini di guerra, evidenziando che “l’uccisione deliberata di civili potrebbe configurare crimini contro l’umanità” nel villaggio di Kambo Tayba nello Stato di Al-Jazirah. Queste violazioni, che includono esecuzioni sommarie e attacchi deliberati ai civili, hanno suscitato preoccupazione internazionale e richieste di indagini e responsabilità.

Settore sanitario: dall’agonia alla morte clinica Gli ultimi rapporti dipingono un quadro desolante del sistema sanitario, soprattutto dopo l’epidemia di dengue, malaria e diarrea acquosa nei quartieri meridionali di Khartoum, causando la morte di 5 persone in sole due settimane. Questo collasso non è naturale, ma è il risultato diretto di politiche sistematiche che includono il saccheggio di ospedali e farmacie e lo smantellamento delle strutture sanitarie sotto la supervisione delle forze militari che controllano la capitale.

La sala emergenze di South Belt ha lanciato un appello urgente alle organizzazioni internazionali, avvertendo che la situazione rischia di sfuggire di mano, ponendo così la comunità internazionale di fronte a una nuova prova tra slogan e azioni concrete.

Gli aiuti come arma di guerra: precedente pericoloso e violazione flagrante del diritto internazionale L’esercito sudanese sembra non limitarsi ai combattimenti militari, ma utilizza anche l’assedio alimentare come arma umanitaria. Rapporti di Radio Dabanga hanno documentato il blocco degli aiuti nelle zone controllate dalle Forze di Supporto Rapido, una violazione diretta delle Convenzioni di Ginevra che criminalizzano la fame come arma e il targeting dei convogli umanitari.

Questo comportamento apre la possibilità di processare i leader militari sudanesi come criminali di guerra, anche se finora manca un’azione legale internazionale concreta.

Risposta internazionale: conferenze senza pressione reale Nonostante i convegni di Bruxelles e Londra a marzo e aprile per discutere la crisi, questi incontri non hanno prodotto risultati pratici. Le pressioni internazionali sulle parti in conflitto, specialmente sull’esercito guidato da Burhan, rimangono deboli e inefficaci, dato il netto rifiuto di Burhan a negoziare, preferendo la guerra aperta e mantenendo il paese ostaggio di una volontà militare individuale contraria alle aspirazioni di milioni di persone.

Un futuro incerto: internazionalizzazione o conflitto continuo L’ex primo ministro sudanese Abdalla Hamdok ha avvertito dell’impossibilità di proseguire la guerra, insistendo sulla necessità di un processo politico inclusivo. Tuttavia, sul campo prevale ancora il linguaggio delle armi. Hamdok ha invitato a “porre fine al caos militare e aprire una strada politica che includa tutte le parti”, avvertendo del peggioramento della crisi umanitaria. La strategia internazionale basata sull’esaurimento delle parti potrebbe invece prolungare il conflitto, aumentando le sofferenze del popolo sudanese e minacciando la stabilità regionale.

Raccomandazioni strategiche per superare la crisi Per spezzare il ciclo di violenza, è essenziale adottare misure urgenti e sistematiche: imporre sanzioni mirate ai leader militari che ostacolano gli aiuti umanitari; attivare il ruolo della Corte Penale Internazionale per indagare sui crimini di guerra; internazionalizzare i corridoi umanitari sotto la supervisione neutrale dell’ONU; e vincolare qualsiasi supporto internazionale al governo sudanese all’avvio di una transizione politica guidata da forze civili, per rafforzare legittimità e stabilità, come raccomandato da precedenti iniziative regionali.