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Fino a una settimana fa, era sconosciuto persino a ChatGPT. Mi era preso il ghiribizzo di rivolgermi all’IA per avere – sulla base del profilo dei cardinali votanti del Conclave – un calcolo probabilistico dei candidati con più chances di accedere al soglio di Pietro dopo papa Bergoglio. E il responso del chatbot – dopo aver indicato in Tagle (25%), Parolin (20%), Zuppi (18%), Erdo (12%) e Pizzaballa (10%) i papabili più accreditati – era stato perentorio.
Alla mia precisa domanda sul nome dell’outsider americano, l’IA aveva sentenziato con disarmante sicumera: “Non risulta alcun cardinale statunitense con nome Prevost tra i porporati elettori del Conclave, potrebbe trattarsi di un equivoco o di una storpiatura”. Bah.
Ieri sera, invece, a las seis de la tarde, in barba a ChatGPT, a chi crede nell’infallibilità dell’intelligenza artificiale (sic!) e agli analisti (quasi tutti) che lo avevano tenuto fuori dai pronostici della vigilia, dal Conclave è uscito papa proprio lui: Robert Francis Prevost da Chicago, il primo (nord)americano, nella storia dell’umanità, a potersi affacciare alla loggia centrale della Basilica di San Pietro in veste di Pontefice. «Chi?»: tra i fedeli che assiepavano la piazza in attesa del successore di Francesco, in effetti sono rimasti sorpresi in tanti davanti all’annuncio del suo nome da parte del protodiacono cardinale Mamberti. Ma tant’è.
Chi è Robert F. Prevost?
Stamattina, tutti i quotidiani italiani più importanti titolano, con una certa stitichezza creativa, “il papa americano”. Ma la verità è che il semisconosciuto Prevost, di americano – perlomeno nell’accezione che corrisponde alla più scontata identità yankee: John Wayne, Coca-Cola, Silicon Valley e, di questi tempi grami, Donald Trump – ha davvero poco. Cosmopolita, equilibrato e misurato nei modi e nell’eloquio, lontanissimo dall’archetipo “a stelle e strisce” che in moltissimi ieri hanno subito associato al suo nome e solo per la sua cittadinanza. Ma basta scorrerne la biografia per scoprire che Robert F. Prevost è sì statunitense di nascita (con origini familiari, peraltro, assai composite: franco-canadesi, spagnole, persino italiane) ma si considera peruviano d’adozione (in America Latina ci ha passato anni da missionario) e più, che i natali, nel suo tratto si distinguono l’appartenenza all’Ordine degli agostiniani (e quindi una spiritualità fondata su comunità, umanesimo, amore fraterno) e un cursus honorum fatto di studi in matematica e filosofia, di missioni, governo ecclesiale e sobrietà spirituale.
“Un curiale”, “un Papa poco di popolo”, lo hanno subito etichettato quelli che avrebbero voluto un altro Bergoglio e che hanno storto il naso anche davanti ai paramenti (la stola, la mozzetta, il rocchetto e la croce d’oro tanto cari a Ratzinger e aborriti invece da Papa Francesco) scelti per presentarsi al mondo ieri sera. “Un integralista, un radicale” hanno fatto eco dall’altra parte – ricordando la vicinanza al predecessore e il suo orientamento progressista (in una chiesa Usa ultraconservatrice) – gli ultrà della restaurazione, i sostenitori della necessità di un papa più conservatore e dottrinario, dopo le tante aperture riformiste dell’era bergogliana. Ma se la storia, fin dai tempi di Aristotele, ci insegna che “in medio stat virtus”, allora forse Prevost è davvero il papa che serviva.
Un Papa moderato tra tradizione e modernità
Già, perché serviva un Papa capace di parlare al mondo — senza fare un solo passo indietro rispetto all’empatia di Francesco — ma anche un Papa che sapesse non sconfinare nell’eterodossia, senza snaturare la Chiesa e i suoi duemila anni e più di storia. Serviva un moderato ma non un dogmatico. Un diplomatico illuminato, scevro da posizioni ideologiche nette che possano spaccare il collegio cardinalizio. Un pontefice capace di evitare certi scivoloni comunicativi alla Francesco, sostituendo all’immediatezza dell’emozione l’autorevolezza di una guida spirituale salda, sobria, riconoscibile.
Le sfide, del resto, sono complesse e da far tremare i polsi. Fuori, nel mondo: le guerre, le continue tensioni geopolitiche, lo scontro sempre più totale tra i due grandi blocchi ad Ovest ed Est, le disuguaglianze, l’urgenza climatica, la scristianizzazione che avanza. Dentro le mura vaticane: la riforma del ruolo delle donne nella Chiesa, la questione dei diritti LGBTQ+, la trasparenza nelle nomine episcopali, la lotta agli abusi sessuali. Se Papa Francesco ha aperto varchi su molti di questi temi (senza riuscire a portare a termine la sua azione riformatrice, forse proprio per carenze diplomatiche) spetta ora al nuovo Pontefice decidere se attraversarli o richiuderli. La sua indole riservata e il basso profilo mediatico potrebbero rappresentare un limite ma anche una forza, in un’epoca che scambia troppo spesso la popolarità per autorevolezza, che esalta i gesti ad effetto a favore di telecamera e sottovaluta la forma e il linguaggio, dimenticando che il Pontefice non è solo un leader mediatico globale e una guida spirituale ma anche un capo di Stato.
Il messaggio di Leone XIV
Lui, Leone XIV, nel suo primo discorso, intanto ha lanciato un messaggio forte e chiaro: “C’è bisogno di una pace disarmata e disarmante” ripetendo più volte la parola pace, quasi a tracciare anche il perimetro pastorale del suo pontificato.
Non sarà un Papa da palcoscenico, ma potrebbe essere quello dell’ascolto, dell’unità e della riconciliazione. L’augurio è che sappia parlare a tutti, credenti e no, anziani e giovani – come Bergoglio – e allo stesso tempo rafforzi l’immagine della Chiesa come costruttrice di ponti, seguendo l’esempio di Wojtyla. In un mondo fratturato, è quello di cui si ha più bisogno.
Un’epoca che ha sostituito DIO con IO
Ovviamente, i detrattori saranno sempre pronti al tiro al piccione. Anche sul nome scelto, Leone XIV, già ci si è divisi. C’è chi pensa subito a Leone XIII, l’autore della Rerum Novarum, che aprì la dottrina sociale della Chiesa al tempo industriale. Ma fu anche il Pontefice che guardò con severità alla statua del “geniale eretico” Giordano Bruno, letta allora come una minaccia alla fede e all’ordine morale. Apertura al mondo, sì, ma con una rigidità dottrinaleincrollabile.
A me piace pensare invece a Leone I, il Magno. Colui che, nel 452, fermò Attila alle porte di Roma, salvando non solo una città, ma l’idea stessa di civiltà cristiana.
Auguri, Papa Leone. Oggi gli Attila che devi fermare non sono solo i signori della guerra, ma anche la barbarie culturale che veste i panni del narcisismo, dell’individualismo, della sciatteria morale. E che minaccia la sopravvivenza stessa della Chiesa e dei suoi 1,4 miliardi di cattolici nel mondo. Secondo il Pew Research Center, nei paesi ad alto reddito si osserva una diminuzione dell’affiliazione religiosa, con molti individui che si identificano come “senza religione“. Un fenomeno particolarmente evidente tra le generazioni più giovani e che fa il paio, per contro, con i 5 miliardi di utenti attivi sui social network, giusto a dare l’ordine valoriale di questa umanità del terzo millennio che sceglie di accantonare Dio ma solo per esaltare l’Io. Un’epoca che cerca risposte facili e rifiuta le domande vere.
Davanti a tutto questo, Lui, però, il nuovo Pontefice, ieri ha detto: “Avanti senza paura”. E allora andiamo, Papa Leone.