La vicenda della famiglia anglo-australiana che viveva in un rudere immerso nel bosco in Abruzzo è diventata, nel giro di poche ore, molto più di un intervento di tutela dei minori: si è trasformata in un caso nazionale, capace di intrecciare aspetti familiari, scelte educative non convenzionali e un acceso scontro tra politica e magistratura.
Mentre i tre bambini sono stati trasferiti in una casa famiglia per un periodo di osservazione, la mamma e il papà difendono con decisione il loro stile di vita e il diritto di crescere i figli a contatto con la natura.
Famiglia nel bosco in Abruzzo: una vicenda diventata caso politico e giudiziario
Quello che inizialmente appariva come un intervento legato alla tutela dei minori si è trasformato rapidamente in un confronto istituzionale. La decisione del Tribunale dei minori dell’Aquila — fondata, secondo l’ordinanza, su “elementi oggettivi” riguardanti sicurezza, condizioni igienico-sanitarie e vita di relazione — ha suscitato un’immediata reazione politica. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha definito l’allontanamento “un atto estremamente doloroso e grave“, annunciando “accertamenti profondi” e l’eventuale invio di ispettori. Matteo Salvini ha rincarato, parlando apertamente di “sequestro” e invitando magistrati e assistenti sociali a non “rompere le scatole“.
I giudici e l’Associazione nazionale magistrati hanno replicato respingendo ogni accusa di parzialità e richiamando il rischio per i bambini derivante dalle condizioni dell’abitazione, ritenuta priva di agibilità e quindi potenzialmente pericolosa. Intanto il legale della famiglia, Giovanni Angelucci, ha depositato la documentazione sull’idoneità strutturale dell’immobile e ribadito che i bambini sono vaccinati, socialmente integrati e regolarmente iscritti all’istruzione parentale.
Bambini nel bosco, mamma Catherine rompe il silenzio dopo l’allontanamento dei piccoli
Catherine Birmingham, compagna di Nathan Trevillion e madre dei tre bambini allontanati dall’abitazione nel bosco, ha condiviso il proprio stato d’animo dopo il trasferimento dei figli nella casa famiglia. Intervistata da Repubblica, ha spiegato di averli trovati “stranamente euforici, e capisco che è la dimostrazione della loro ansia“, sottolineando quanto desiderino tornare nella loro quotidianità.
La donna può rimanere con loro soltanto a colazione e prima della notte, una limitazione che lei accetta con fatica ma senza rinunciare alla propria presenza: “io resto qui e non li lascio soli“.
Catherine difende con fermezza anche il modello educativo scelto dalla famiglia, che considera parte integrante della loro identità: “Non andranno in una scuola ortodossa… si chiama unschooling e ti connette con la parte destra del cervello“. Ribadisce che il legame con la natura e il rifiuto dei ritmi urbani non nascono da trascuratezza, bensì da una scelta consapevole che, nella sua visione, ha sempre garantito ai figli un ambiente affettivo stabile.
Nell’immediatezza dell’intervento delle autorità, è stata lei a guidare i bambini mentre preparavano uno zainetto “con il pigiama, lo spazzolino e un frutto”, cercando di mantenere un’apparente calma nonostante il clima concitato intorno alla loro casa nel bosco.