Sea Watch, l'audio alla capitaneria di porto: "Devono sbarcare"

Con una comunicazione radio, il capitano Carola Rackete ha informato di aver fatto rotta verso Lampedusa. Inutile l'alt della capitaneria.

Nel pomeriggio di mercoledì 26 giugno Carola Rackete, capitana della nave ong Sea Watch 3, ha comunicato che avrebbe fatto rotta verso l’Italia andando così contro il divieto imposto dal Governo relativamente allo sbarco di migranti.

La capitana ha contattato la capitaneria dando avviso della sua decisione: “Buonasera, vi informo che devo entrare in acque territoriali italiane” ha esordito Carola Rackete. “Non posso più garantire lo stato delle persone. Devo far sbarcare le 42 persone che ho a bordo. Virerò ed entrerò nelle acque territoriali”. La Capitaneria di porto di Lampedusa, dopo aver ricevuto il messaggio ha ribadito il divieto: “Non siete autorizzati a entrare nelle acque territoriali italiane“.

La decisione

La capitana ha fatto sapere di aver preso la decisione di violare il blocco a causa delle condizioni gravi in cui versano alcuni dei migranti a bordo della nave. Da 14 giorni, infatti, la Sea Watch 3 si trova al largo di Lampedusa, al limite delle acque territoriali italiane, senza l’indicazione di un porto sicuro. Inutili gli appelli e le manifestazioni da parte delle associazioni. Il Governo ha sempre confermato la linea dura e il ministro Salvini ha ribadito più volte che i porti italiani restano chiusi.

Inutile anche il tentativo di ricorso alla corte Europea di Strasburgo. Quest’ultima ha dato notizia, nella serata di martedì, di aver rigettato il ricorso. Sarebbe a seguito di quest’ultimo fallimento che Carola Rackete ha deciso di procedere verso l’Italia assumendosi tutti i rischi del caso.

La testimonianza della dottoressa

Anche il medico di bordo della Sea Watch ha parlato in merito alle condizioni di necessità in cui versano i migranti a bordo: “Abbiamo 43 persone a bordo che hanno bisogno di cure. Sta facendo sempre più caldo e le persone hanno problemi di disidratazione, cosa sulla quale non possiamo intervenire. Abbiamo inoltre persone che hanno vissuto traumi e torture e hanno bisogno di supporto psicologico – ha proseguito – e si trovano in uno spazio molto ristretto.

Non sappiamo prevedere come potranno reagire allo stress che sta aumentando con il passare dei giorni”.