La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha respinto il ricorso presentato dall’Italia contro la sentenza dello scorso 13 giugno a proposito dell’ergastolo ostativo ai mafiosi.
Secondo la CEDU, non è lecito negare completamente ai detenuti la speranza di un recupero e di un reintegro nella società. Deve invece essere garantita la possibilità di redenzione e di migliorare la propria condizione.
Ergastolo ostativo, il verdetto della Corte europea
L’Italia, nel settembre 2019, ha presentato ricorso alla Corte europea, chiedendo che il contenuto dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario del nostro Paese (quello che concerne l’ergastolo ostativo) fosse sottoposto al vaglio della Grand Chambre della CEDU, l’organo a cui spettano le decisioni che possono influire sulle dinamiche interne di tutti i Paesi dell’Unione.
Nel ricorso, Roma ha sottolineato la peculiarità del panorama criminale italiano, a causa della forte presenza sul territorio di organizzazioni criminali come Cosa nostra, camorra e ‘Ndrangheta, contro cui servirsi dell’ergastolo “duro”.
Secondo la Corte, l’ergastolo ostativo viola l’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo che vieta pratiche come la tortura e le punizioni degradanti. Il verdetto non ha carattere perentorio, ma apre la strada a numerosi altri ricorsi (in questo momento sarebbero già 24) da parte di detenuti che lamentano condizioni disumane.
Cos’è l’ergastolo ostativo
L’ergastolo ostativo è stato introdotto nell’ordinamento italiano dopo le stragi in cui hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, all’inizio degli anni Novanta. L’articolo 4 bis stabilisce che i condannati per reati di particolari gravità (tra questi, mafia e terrorismo) non possono godere dei “benefici penitenziari”, comprese le alternative alla detenzione, i permessi premio e la semi-libertà. L’unica possibilità di sfuggire alla condizione descritta dall’espressione “fine pena mai” è la collaborazione con la giustizia.