Scuole chiuse per Coronavirus: sono sempre le famiglie ad aiutare lo Stato

Tenere i bambini a casa è un passo importante per la salute pubblica, ma sono sempre le famiglie ad aiutare lo Stato. Quando lo Stato inizierà ad aiutare (davvero) le famiglie?

Figli piccoli, scuole chiuse, genitori che devono lavorare, niente nonni, niente tate.

Vi riconoscete? Io sì. E tra equilibrismi vari, ho qualcosa da dire in proposito.

Italia: il Paese in cui le famiglie aiutano lo Stato e non il viceversa

Dobbiamo essere comprensivi e collaborativi, c’è in gioco la salute pubblica ed è giusto così. Scuole chiuse perché i nostri piccoli sono dei super untori e noi genitori lo sappiamo quasi meglio del virologo più eserto.

Alzi la mano chi non aveva mai avuto quell’influenza intestinale di dimensioni epiche, prima di figliare.

Dei dolori e delle scene pulp che mai prima nella vita. Che dire poi della sottoscritta che non aveva mai sofferto di congiuntivite, fino all’ingresso al nido del primogenito. Ma grazie a quest’ultimo, peraltro illeso, è finita al pronto soccorso con uno sguardo paragonabile a quello di un gatto randagio. E la pediculosi, che quando parte in classe non si riesce a debellare se non dopo settimane?

Quindi sì, lo sappiamo bene noi genitori che tenere i bambini a casa è un passo importante per la salute pubblica, anche se il resto delle attività del Paese va avanti come nulla fosse.

E allora collaboriamo e di fatto noi famiglie costituiamo, in questa come in altre occasioni, un aiuto allo Stato. Ecco però poi magari, parliamo davvero di aiuti di Stato alle famiglie? E non parlo delle “mancette” date a chi ha la fortuna di avere un figlio nell’anno giusto e fare l’all in di bonus nido, bonus nascita, bonus qualunque. Parlo di un sostegno che segua le vite dei nostri figli che, sapete gente al potere, continuano a vivere con noi anche una volta compiuti i 3 anni.

Bambini a casa e mamma e papà al lavoro, come si fa?

Ma torniamo ai bambini e ragazzi a casa da scuola, per chi vive nel Nord Italia ormai a casa dal 24 febbraio scorso.
Come facciamo? In qualche modo facciamo! E parlo delle famiglie come la mia, in cui ci si occupa dei figli sempre e solo in prima persona: o mamma o papà e le scuole di ogni ordine e grado.

Si cerca di dividere le giornate o la giornata a metà. I giorni pari io, i dispari il padre, la mattina io, il pomeriggio il padre. E nel frattempo si tenta di mandare avanti il lavoro in un mondo che sembra non potersi permettere di rallentare e che lascia indietro quelli come noi, che hanno deciso di metter su famiglia.

Perché io, e tanti come me, sono una lavoratrice autonoma e se rallento, nel frattempo i miei concorrenti “figli free” o dotati di schiere di tate e nonni, vanno avanti.

E questo significa perdere terreno e soldi.Ma in qualche modo ce la faremo, come sempre.

L’unica sensazione che resterà è quella di vivere in un Paese che si riempie la bocca della parola “famiglia” per poi penalizzarci in tutti i modi immaginabili, chiedendoci sacrifici enormi per poi biasimarci quando le nostre famiglie vanno a rotoli sotto il peso, anche, delle difficoltà economiche.

Chiudo con il caso che non è il mio ma che sento molto in questi giorni.

Parliamo delle famiglie tenute insieme grazie agli aiuti materiali ed economici dei nonni. Ma gli anziani non sono i soggetti più a rischio in caso di contagio da Coronavirus? E allora chiudere le scuole e mettere i “piccoli untori” a stretto contatto con gli anziani non mi sembra un’idea così brillante. E non parlo delle madri e dei padri che chiedono aiuto ai propri genitori, parlo di nuovo a chi esercita il potere ed è miope su questo fronte.

Ce lo vogliamo fare un bel paio di occhiali?