Roma, 31 lug. (Adnkronos) – Ursula von der Leyen e gli altri leader "non avrebbero potuto ottenere di più da Donald Trump". Il politologo Ian Bremmer, presidente e fondatore di Eurasia Group, parla con il Corriere della Sera e dà un giudizio positivo sugli esiti, per altro ancora provvisori, del negoziato tra Ue e Stati Uniti.
"Non mi sorprende – afferma – che il risultato sia più favorevole agli americani. L’economia dei Paesi europei è più debole rispetto a quella statunitense. È meno orientata verso il settore privato; la regolamentazione è più restrittiva. Direi che la Ue non sarebbe in grado di reggere una guerra commerciale con gli Usa".
Sui dettagli dell'accordo – dazi al 15%; 750 miliardi di acquisti in energia; 600 miliardi di investimenti – Bremmer spiega che "sono numeri che possono rivelarsi diversi nell’applicazione pratica.Trovo che aver fissato delle cifre che probabilmente non potranno essere raggiunte, ha consentito agli europei di guadagnare tempo. Quindi non prenderei troppo seriamente le somme che riguardano gli acquisti di energia e gli investimenti. Quanto ai dazi, c’era il rischio concreto che il prelievo fosse più alto". E giudica positivamente la strategia della Commissione europea, a cui darebbe "un voto molto alto. Ma non solo per il merito del negoziato. Sul piano politico questa intesa segna un cambio di passo nelle relazioni tra Usa ed Europa. Pensiamo solo a qualche mese fa, quando c’era Elon Musk che appoggiava apertamente l’AfD (il partito di estrema destra in Germania, ndr ); oppure il vice presidente Vance che considerava degli avversari i leader europei. Oggi il clima è cambiato".
Quanto al giudizio – opposto – del presidente francese, Emmanuel Macron, secondo cui l'esito della trattativa è la dimostrazione che l’Europa non riesce a imporsi come potenza a livello mondiale, Bremmer commenta che "non potrebbe essere diversamente. L’Unione europea non è uno Stato e deve confrontarsi con due super Stati come Usa e Cina. Se vuole competere alla pari, deve fare un salto di qualità: unione bancaria, una difesa comune e altre cose di questo genere. C’è anche un altro elemento strutturale. Non è vero che l’America è in declino; sono gli alleati dell’America che stanno declinando. Negli ultimi trent’anni il calo demografico, la riduzione della produttività, l’eccesso di regolamentazione hanno prodotto il declino non solo dell’Unione europea, ma anche di Regno Unito, Canada e Giappone".
Sulla possibilità che i dazi danneggerebbero anche l’economia statunitense, commenta: "Mi pare che negli Usa ci siano due economie. Quella tecnologica continua ad andare incredibilmente bene. Le big tech hanno un sacco di soldi, investono nel lungo termine, sprigionano ottimismo. Tutte le altre imprese sono estremamente preoccupate. Temono un impatto pesante dei dazi, con la destabilizzazione, tra l’altro, delle catene di approvvigionamento. Probabilmente il costo di questa operazione ricadrà sui consumatori americani. Ma per il momento non ci sono segnali in questo senso. Inoltre i democratici non hanno una leadership chiara; i repubblicani sono sempre aggrappati a Trump. E i sondaggi indicano che il tasso di approvazione del presidente sia superiore a quello ottenuto da Biden per lunghi tratti del suo mandato".