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Femminicidio Cinzia Pinna: versione di Ragnedda e nuovi misteriosi dettagli nella villa

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Nuovi sviluppi sul femminicidio Cinzia Pinna: la confessione di Emanuele Ragnedda, le indagini, la polvere bianca trovata nella tenuta e le domande ancora aperte su quella notte drammatica.

Il femminicidio di Cinzia Pinna ha trovato una confessione dopo quattordici giorni di silenzio, ma restano ancora troppe domande senza risposta.

Femminicidio Cinzia Pinna: la versione di Ragnedda

«Ho avuto paura. Mi sono difeso». Così Emanuele Ragnedda, 41 anni, viticoltore conosciuto in tutta la Gallura, ha parlato davanti al procuratore Gregorio Capasso e alla sostituta Noemi Mancini.

È successo mercoledì sera, nella caserma dei carabinieri di Tempio Pausania. Dopo ore di domande, in cui l’uomo era rimasto rigido, poi a un tratto – raccontano fonti investigative – ha iniziato a parlare.

La sua versione: una lite violenta. Motivi del femminicidio? Ancora poco chiari. Lei, Cinzia Pinna, 33 anni, avrebbe afferrato un oggetto. Si sarebbe avvicinata. E lui, preso dal panico, avrebbe sparato. «Una o più volte», avrebbe detto Ragnedda. Per difendersi. Parole ora al vaglio degli inquirenti, come confermato da fonti della Procura.

Il corpo della donna – o meglio, quello che si presume sia il suo – è stato trovato grazie alle indicazioni dello stesso Ragnedda. In una zona isolata della tenuta Concaentosa, tra Palau e Arzachena, di proprietà della famiglia. Gli uomini del Ris di Cagliari hanno usato il Luminol: tracce di sangue ovunque. Sul divano del soggiorno, sulle scale, all’esterno. «Aveva provato a pulire», ha detto un carabiniere, chiedendo di non essere citato per nome.

L’accusa resta pesante: omicidio volontario aggravato dall’uso di arma da fuoco e occultamento di cadavere. L’udienza di convalida davanti alla gip Marcella Pinna non è ancora stata fissata. Intanto, Ragnedda è nel carcere di Nuchis, assistito dall’avvocato Luca Montella. «Ha collaborato», si è limitato a dire il legale ai giornalisti.

Nel paese tutti conoscevano sia lui che la vittima. Cinzia lavorava nella ristorazione a Palau, ma era originaria di Castelsardo. Figlia di una famiglia di imprenditori turistici. I genitori, assistiti dagli avvocati Antonella e Nino Cuccureddu, sono chiusi nel silenzio. «Vogliamo solo la verità», ha detto il padre ai cronisti, la voce rotta.

Femminicidio di Cinzia Pinna: polvere bianca e nuove domande

Ma c’è un altro dettaglio del femminicidio di Cinzia Pinna che sembra non tornare, forse marginale. O forse no. Durante i rilievi nel casolare, oltre al sangue, i carabinieri del Ris hanno trovato una polvere bianca. Nei cassetti, su un tavolino. Forse cocaina. Lo diranno i test tossicologici, spiegano fonti scientifiche del laboratorio di Cagliari.

Lo stesso Ragnedda, durante l’interrogatorio, avrebbe ammesso di averne fatto uso nei giorni della lite. «Sì, qualche volta. Non ricordo bene», avrebbe detto davanti al pm. Parole raccolte a fatica, mentre il 41enne tentava di ricostruire quelle ore.

Gli investigatori non escludono che la droga possa aver avuto un ruolo nella vicenda. O almeno, nel clima di tensione. Ma al momento non ci sono conferme. «Stiamo analizzando ogni dettaglio», ha detto il procuratore Capasso, senza sbilanciarsi.

Intanto, a Castelsardo, il parroco don Pietro Denicu ha annunciato una fiaccolata per sabato sera. «Per Cinzia, per dire basta alla violenza sulle donne», ha spiegato ai giornalisti locali. La sindaca Maria Lucia Tirotto è apparsa commossa: «Il paese è sotto shock. Come madre, prima ancora che come sindaca, mi unisco al dolore della famiglia».

Nel frattempo, le indagini continuano. I carabinieri stanno passando al setaccio l’intera tenuta. Ogni angolo, ogni stanza. Vogliono capire cosa sia davvero successo quella notte tra l’11 e il 12 settembre. Perché, come dice un investigatore, «la confessione spiega, ma non chiude il cerchio».