Nicola Di Santo, chi è l’italiano che rischia la morte in Indonesia

Una società innescata dall'arrivo del Covid, i dissapori e poi l'accusa: Nicola Di Santo, chi è l’italiano che rischia la morte in Indonesia

Sta suscitando scalpore la vicenda di Nicola Di Santo, l’italiano che rischia la morte in Indonesia e che dopo un arresto dubbio sarebbe stato sottoposto a torture e stenti che ne stanno minando la salute.

Il caso di Nicola, che non solo rischia la morte di stenti ma anche la pena di morte come punizione, è stato sollevato dalla sua avvocata Alessandra Ballerini che ha chiesto l’intervento del governo: “Gli spengono le sigarette sul corpo, lui dorme sul pavimento, ha spesso la febbre, ha perso 12 chili ed è in condizioni di salute assolutamente precarie”. 

Nicola Di Santo, il calvario in Indonesia

La legale chiede un processo in Italia dopo che lo stesso senatore Gregorio De Falco aveva presentato un’interrogazione parlamentare urgente sul caso.

Nel 2020 Nicola lascia l’Australia dove aveva fatto il cuoco ed arriva in Indonesia per una vacanza. Il Covid lo blocca a Bali, dove conosce un connazionale isolano di lungo corso. I due fanno affari assieme in catene di ristoranti e criptovalute. Dopo un anno i due iniziano a litigare e Di Santo decide di tornare in Italia ma non ce la fa perché viene arrestato con l’accusa di aver rapinato proprio il suo socio che lo ha denunciato.

Sempre secondo l’accusa Nicola sarebbe stato mandante e non esecutore, dato che avrebbe pagato due russi per farlo. Per il cuoco si aprono le porte del carcere e la polizia “lo minaccia e picchia in continuazione, arrivando a spegnergli le sigarette sul corpo”. 

“Un secchio come wc e tante botte”

E sarebbe “tutto documentato”. Il braccio di ferro è sulla confessione: la polizia mena per averla e Di Santo resiste perché non può confessare una cosa che lui dice di non aver fatto.

Con gli avvocati locali arrivano solo parcelle ma non la libertà di Nicola e il caso diventa serissimo perché Nicola a furia di prenderle sta malissimo. Ha spiegato la legale: “La cella misura tredici passi da un muro all’altro, non c’è una sedia, né un tavolo e i detenuti come sciacquone per il wc devono usare un secchio. Nicola mangia due ciotole di riso al giorno. Esce dalla cella solo per andare alle udienze del processo in tribunale.

Gli è vietato telefonare e ricevere visite, comprese quelle degli avvocati e dei dottori, al contrario degli altri detenuti che hanno accesso anche al telefono di servizio”.