L’Italia galleggia su un paradosso. Incassa miliardi dal turismo – 51 nel 2023, record storico – ma mentre i conti salgono, la vita si svuota. Perché quando l’economia gira, non gira per tutti: e così, mentre i flussi turistici ad alta capacità di spesa fanno salire gli affitti, i prezzi degli hotel, dei ristoranti, persino dei treni, chi si muove per lavorare – non per vacanza – si trova spinto ai margini.
Invisibile. Spiazzato.Parliamo di oltre 20 milioni di italiani che ogni giorno si muovono per lavoro sul territorio, secondo i dati ISTAT. A questi si aggiungono più di 4 milioni di trasferte professionali interne all’anno, e quasi 20 milioni di viaggiatori d’affari verso l’estero. È un esercito silenzioso: agenti di commercio, professionisti, manager, tecnici, formatori. Gente che viaggia per produrre valore – non per consumarlo. Eppure, sono proprio loro i nuovi penalizzati dell’Italia attrattiva.Overtourism, effetto Cantillon e prezzi fuori scalaI sintomi sono evidenti. A Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli: camere d’albergo introvabili o a prezzi stellari nei giorni feriali. Treni pieni. Affitti brevi che sottraggono disponibilità al mercato residenziale. Colazioni a 12 euro, cene a 60, taxi introvabili. Non è solo overtourism: è turistificazione sistemica, dove ogni bene urbano viene orientato al visitatore ricco – non a chi lo vive o lo attraversa.È un caso classico di Effetto Cantillon moderno: chi riceve per primo i benefici della moneta e della domanda – investitori, host Airbnb, catene alberghiere, capitali esteri – compra e vende ai vecchi prezzi. Chi arriva dopo – lavoratori, pendolari, professionisti non milionari – paga al nuovo costo, senza avere avuto accesso ai profitti. È una redistribuzione al contrario: dai produttori ai consumatori privilegiati.I costi della trasparenzaNon è solo questione di disuguaglianza. È inefficienza strutturale. Quando un consulente non trova una stanza sotto i 200 euro, rinuncia alla trasferta. Quando un tecnico è costretto a prenotare in un comune a 30 km dal cliente, la produttività crolla. Quando chi lavora deve competere con chi consuma per accedere allo stesso spazio, il sistema si ingorga. Si inceppa.Così, l’Italia – Paese che dovrebbe valorizzare il lavoro di chi la fa crescere – paga un prezzo alto per l’incapacità di governare i flussi. Perché non è solo il centro di Firenze a diventare invivibile. È il lavoro stesso a diventare impossibile.La soluzione? Rimettere il lavoro al centroIl tema non è “meno turismo”. Il tema è: più equità, più regole, più visione.
Serve una fiscalità che penalizzi l’uso esclusivo degli immobili a fini turistici. Serve una strategia di allocazione urbana che preveda quote per il lavoro, per il pendolarismo, per la mobilità produttiva. Serve che i territori tornino a riconoscere la dignità economica e logistica di chi si muove per costruire, non solo per consumare.È tempo che l’Italia bella – quella che sa attrarre – impari a rispettare anche chi la sostiene. Chi non arriva in ciabatte, ma in giacca. Chi non cerca il tramonto perfetto, ma una connessione wifi che funziona. Chi non ha tempo per l’aperitivo, ma consegna valore.L’inflazione non è uguale per tutti. Nemmeno il diritto alla città. Se non capiamo questo, l’Italia continuerà a vendere la sua pelle più che la sua anima. E il sistema, prima o poi, si presenterà il conto. Anche a chi oggi brinda.