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8 marzo: Cerved, con maggiore incidenza donne nel Cda imprese più redditizie e meno rischiose

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Roma, 7 mar. (Labitalia) - Le imprese con una maggiore incidenza di donne (+20%) nel Consiglio di amministrazione risultano più robuste dal punto di vista economico-finanziario, meno rischiose sotto il profilo creditizio, hanno indicatori di sostenibilità maggiormente positivi e un tas...

Roma, 7 mar. (Labitalia) – Le imprese con una maggiore incidenza di donne (+20%) nel Consiglio di amministrazione risultano più robuste dal punto di vista economico-finanziario, meno rischiose sotto il profilo creditizio, hanno indicatori di sostenibilità maggiormente positivi e un tasso inferiore di infortuni sul lavoro e di contratti a termine. Ma la combinazione migliore sotto il profilo di rischio è avere un Cda a prevalenza maschile con a capo un ceo donna: le aziende con queste caratteristiche, infatti, presentano un rischio di default inferiore al 3%, mentre la percentuale sale al 6,79% nel caso di aziende a totale guida maschile e a 7,29% per quelle, al contrario, a totale guida femminile. “Il bilanciamento di genere nelle figure apicali aziendali, dunque, rappresenta un’importante leva di vantaggio competitivo che è nell’interesse del Paese promuovere e valorizzare”, commenta Fabrizio Negri, amministratore delegato di Cerved Rating Agency.

A dirlo è Cerved Rating Agency, l’agenzia di rating italiana specializzata nella valutazione del merito di credito di imprese e nella misurazione delle performance esg, che ha analizzato le oltre 14.000 società di capitali per le quali ha emesso un rating creditizio. In questo campione significativo del tessuto imprenditoriale italiano, le aziende con una percentuale di donne nel Cda superiore al 20% sono circa 4.500, fatturano complessivamente quasi 1.500 miliardi di euro e impiegano oltre 1,3 milioni di addetti.

Tuttavia, il soffitto di cristallo ancora non si incrina: nonostante oltre la metà della forza lavoro in Italia sia femminile, sui 5 milioni di imprese italiane la percentuale di donne in posizioni apicali raggiunge solo il 30%, dato che scende al 27% se si considera la partecipazione nei Cda (quasi 30% nel Sud e nelle Isole) e al 25% se si parla di amministratrici delegate (dal 22,7% del Nord Est al 27,3% del Centro). Il divario tra uomini e donne ai vertici si riduce se si considerano le organizzazioni internazionali e i tradizionali settori “di cura” (sanità, servizi sociali, ma anche l’istruzione), dell’accoglienza e della ristorazione, mentre le costruzioni sono ancora a guida maschile (quasi 90% di ceo uomini).

Le imprese con una presenza femminile nel Cda superiore al 20% sono dunque una minoranza, ma si tratta di un avamposto che performa assai bene: infatti, indipendentemente dalle dimensioni e dal fatturato, queste aziende hanno un rischio di default che dal 6,52% scende al 5,64% (-16%), margini di redditività superiori (Ebitda margin pari a 8,31% contro 7,9%) e livelli di indebitamento (rapporto tra la posizione finanziaria netta e il patrimonio) più contenuti, indicatori di sostenibilità aziendale maggiormente positivi in particolare sugli aspetti sociali e di governance, tassi inferiori di infortuni e di contratti a tempo indeterminato (9,5% contro 10,58%). Le imprese con oltre il 20% di donne nei Cda sono percepite come meno rischiose rispetto alle altre anche nei singoli settori, con un divario che va dal 6% del commercio al 18% dei servizi.

Cerved ha poi condotto un’ulteriore analisi sul sottocampione di 9.500 imprese con amministratore delegato prendendo in considerazione le diverse combinazioni, in termini di bilanciamento di genere, tra ceo e cda. Dallo studio sul profilo di rischio emerge un’interessante correlazione: le imprese con guida maggiormente polarizzata sui generi, cioè a totale prevalenza maschile o femminile, risultano essere anche quelle più rischiose. Le imprese con ceo (o amministratore unico) e cda a connotazione maschile, infatti, presentano un rischio di default pari a 6,79%, percentuale che sale ulteriormente al 7,29% nelle aziende a totale guida femminile (ceo donna e Cda con oltre il 20% di presenza femminile).

La situazione migliora quando si è in presenza di un bilanciamento di genere nelle figure apicali: laddove il cda ha una buona rappresentanza di donne e il ceo (o amministratore unico) è uomo, il rischio di default scende al 4,43%, ma arriva fin sotto al 3% (2,97%) nel caso di un ceo donna affiancato da un cda a prevalenza maschile. E questo vale indipendentemente dalle dimensioni aziendali e dal livello di fatturato. Le stesse dinamiche si riscontrano a livello settoriale, con differenze tra la casistica migliore e quella peggiore che variano tra il 48% del manifatturiero fino al 77% del commercio. Le 9.500 imprese del campione sono state pertanto raggruppate in due differenti gruppi, uno con bilanciamento di genere (1.425 aziende) e uno senza (8.075): nel primo cluster, che fattura complessivamente quasi 1200 miliardi di euro e impiega oltre 780.000 persone, si riscontrano margini di redditività superiori (Ebitda margin pari a 8,72% contro 8,22%) e livelli di indebitamento mediani, denotati dal rapporto tra la posizione finanziaria netta e il patrimonio netto, più contenuti (0.33 contro 0.36).