In quei giorni i leader dei paesi Nato si riuniranno all’Aja per decidere se, ma soprattutto come, alzare l’obiettivo di spesa per la difesa fino al 5 per cento del Pil, come richiesto da Donald Trump. Se dieci anni fa, nel 2014 in Galles, era stata fissata la soglia del 2 per cento, solo 7 dei 21 Stati dell’Ue che fanno anche parte dell’Alleanza al 2021 avevano raggiunto quella soglia, convinti che non ci fossero pericoli all’orizzonte.
Complice l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tra il 2021 e il 2024 i Ventisette hanno aumentato le spese militari di oltre il 30 per cento, fino a un totale di 326 miliardi, circa l’1,9 per cento del Pil dell’Unione Europea. Se si considerano solo i 23 paesi dell’Ue che fanno anche parte della Nato, la spesa salirà al 2,04 per cento quest’anno. Ma non basta. La richiesta di arrivare al 5 per cento sarà un salasso per i paesi europei, soprattutto per quelli fortemente indebitati come l’Italia, e in assenza di una forma di finanziamento comune sui mercati li costringerà a scelte dolorose.
Trenta miliardi in più
L’Italia ha comunicato un mese fa all’Alleanza di aver raggiunto la fatidica soglia del 2 per cento del Pil, ma il traguardo è stato raggiunto più con un’opera di maquillage politico che con lo stanziamento di nuove risorse. Invece che spendere in armamenti 10 miliardi in più, necessari per passare dall’1,49 per cento del 2024 al 2 attuale, il governo di Giorgia Meloni ha inserito nel computo delle spese per la difesa anche guardia costiera, servizi di meteorologia, attività di distruzione di armi e munizioni e le risorse per la cybersicurezza.Se però passerà la proposta del segretario generale dell’Alleanza, Mark Rutte, la spesa per la difesa in senso stretto (ordigni, mezzi militari, stipendi per soldati e ufficiali) dovrà aumentare al 3,5 per cento del Pil in sette anni, mentre un altro 1,5 andrà investito in sicurezza. Se così fosse, non ci sarebbe scampo per l’Italia: entro il 2032 dovrebbe stanziare per l’esercito 30,1 miliardi in più rispetto a oggi, cioè 4,3 miliardi all’anno. Per indicare la strada da intraprendere, la Nato non elogia solo l’iniziativa della Germania, ma anche quella della Polonia. Varsavia ha aumentato le spese per la difesa dal 2,7 per cento del Pil del 2022 al 4,2 del 2024. Quest’anno arriverà al 4,7 e nei prossimi anni supererà la soglia suggerita dalla Nato. Solo l’anno scorso, la Polonia ha firmato 130 contratti dal valore totale di 35,2 miliardi per acquistare carri armati, caccia e pezzi di artiglieria. Anche i paesi baltici, i più vicini a Mosca, intendono spingersi fino a investire il 5 per cento del Pil.Tutti questi paesi hanno in comune un rapporto deficit/Pil estremamente basso, che va dal 23,6 per cento dell’Estonia al 62,5 della Germania. In base alle nuove regole del Patto di stabilità, anche sforando il tetto del deficit del 3 per cento annuale, non rischiano una procedura d’infrazione. Lo stesso non si può dire di paesi altamente indebitati come Italia (135 per cento), Spagna (102) e Francia (113). Nessuno dei tre può permettersi di fare nuovo debito a cuor leggero, anche solo per non correre il rischio di irritare i mercati, fare aumentare lo spread e di conseguenza i tassi di interesse da pagare sui debiti contratti. Negli ultimi giorni diversi esponenti del governo (dal ministro dell’Economia al ministro della Difesa) hanno confermato l’intenzione da parte dell’esecutivo di raggiungere il tanto chiacchierato obiettivo del 2% del prodotto interno lordo (Pil) in spesa militare.
Ne ha parlato anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nell’incontro alla Casa Bianca con Donald Trump. Ma come si potrà raggiungere tale livello e quale sarà la cifra reale da mettere sul tavolo? Prima di analizzare i freddi numeri, occorrono due premesse.Come nasce l’obiettivo del 2% del Pil in spesa militareLa prima riguarda l’obiettivo ormai preso a punto di riferimento. Che – va sempre ricordato – non è una semplice applicazione di una richiesta Nato già prevista e decisa in maniera definitiva.
L’indicazione ai Paesi membri di dover raggiungere almeno il 2% del Pil in spesa militare fa capolino nel 2006 in un accordo informale dei ministri della Difesa. È stato ulteriormente rilanciato durante il vertice dei Capi di Stato e di governo del 2014 in Galles (obiettivo per il 2024) in cui si indicava anche una quota per investimenti del 20%. E poi ripetuto come un mantra negli ultimi anni per farlo passare come assodato e finalizzato.
In realtà, dal punto di vista formale, si tratta di “Dichiarazioni di intenti” mai ratificate da alcun Parlamento con forza normativa e obbligo vincolante per il bilancio dello Stato (cosa per cui non basta l’approvazione di mozioni di indirizzo).Inoltre l’obiettivo del 2% non è mai stato giustificato in termini militari.
Collega inoltre una previsione di spesa pubblica a un parametro che non si può definire preventivamente (nessuno sa ancora quale sarà il Pil del 2025, ad esempio). Un parametro che, per giunta, è soggetto a fluttuazioni impreviste (si pensi al crollo inaspettato durante il Covid-19) e comprende nel suo conteggio anche la ricchezza privata.
Insomma, è un parametro aleatorio che va oltre i fondi pubblici realmente a disposizione dello Stato (e dunque delle decisioni governative). Ed è per giunta scollegato da reali esigenze tecnico-militari. In poche parole, un artificio per poter aumentare la spesa militare “giustificandola” con un pre-giudizio intoccabile senza entrare nel merito delle motivazioni o necessità reali.Quanto vale nel suo insieme la spesa militare italianaLa seconda premessa riguarda il valore complessivo della spesa militare italiana. L’Osservatorio Mil€x lo ricava da una metodologia in linea con gli standard internazionali e dalla possibilità di effettuare un’analisi dettagliata dei documenti della Legge di Bilancio. Con questo metodo, ha calcolato per il 2025 una spesa militare totale “diretta” di poco più di 32 miliardi di euro. Pari a un rapporto dell’1,42% sul Pil previsionale Nadef calcolato a fine anno scorso (ma comunque in discesa nelle successive previsioni). Il conteggio non considera le quote parte di progetti europei, che non rientrano nel calcolo dell’obiettivo Nato.
Abbiamo già sottolineato come le stime Mil€x siano state sempre storicamente allineate ai ricalcoli di spesa militare che il ministero della Difesa esegue, esplicitandoli nel Documento programmatico pluriennale per la difesa (Dpp), per organizzazioni come l’Ocse (200 milioni di differenza con Mil€x sul 2024) o istituti di ricerca come il Sipri (600 milioni di differenza con Mil€x sul 2024). Le nostre stime sono state sempre più conservative rispetto a quelle calcolate dal ministero anche con altre metodologie. Soprattutto in relazione al cosiddetto “bilancio in chiave Nato” che vede sempre cifre molto più alte.
Per il dato 2024 la differenza con i nostri dati era di ben 3,8 miliardi in più.Gli espedienti del governo per allinearsi all’obiettivo della spesa militare al 2% del PilPartendo da questo livello di spesa, per raggiungere subito il 2% del Pil – ovvero 45,1 miliardi considerando il valore odierno dichiarato – si dovrebbe concretizzare un investimento aggiuntivo di almeno 9,7 miliardi. Un investimento enorme per le casse statali italiane. Infatti il Mef punta a tagliarlo di qualche miliardo presentando alla Nato una spesa militare che comprenda anche altre voci già a bilancio ma finora non considerate.
Il secondo espediente, che ricorda l’aneddoto di certi carri armati spostati da una parte all’altra per far percepire un totale complessivo di armamenti maggiore del reale…I tentativi di conteggiare le spese relative ad altri corpi militariLa valutazione aggiuntiva riguarda le spese relative ad altri corpi militari difficilmente compatibili con le linee guida dell’Alleanza su cosa sia e cosa non sia considerabile come spesa per la difesa. Non solo Carabinieri (costo totale: oltre 7 miliardi) ma anche Guardia Costiera a carico del ministero dei Trasporti (per oltre 3 miliardi) e Guardia di Finanza a carico del Mef (per quasi 1 miliardo).
Nei documenti Nato si legge che tali costi «possono anche includere reparti di altre forze (ma) solo in proporzione alle forze che sono addestrate secondo tattiche militari, equipaggiate come una forza militare, in grado di operare sotto autorità militare diretta durante operazioni schierate, e realisticamente impiegabili al di fuori del territorio nazionale a supporto di una forza militare».
Questo già accade per i Carabinieri. Attualmente la Difesa fornisce alla Nato solo il costo «della quota parte afferente al personale dell’Arma dei Carabinieri impiegabile presso i Teatri Operativi del Fuori Area (c.d. deployable), fissata in complessive 8.600 unità» su un totale di circa 110mila. L’ultima quantificazione di questa spesa è stata resa pubblica per il 2020 ed era pari a 543 milioni l’anno.Se vorrà trovare fondi reali, il governo dovrà tagliare altre speseDifficilmente la Nato accetterebbe di ricomprendere ulteriori spese relative ai Carabinieri, che solo in caso di guerra sul territorio italiano contribuirebbero davvero alla difesa nazionale. Per la stessa ragione sarà arduo ottenere dall’Alleanza atlantica il via libera al conteggio dei costi di 11mila guardiacoste e 64mila finanzieri tra le spese per la difesa. Due corpi di polizia – marittima e tributaria – che avrebbero un ruolo di contributo alla difesa territoriale e costiera ancora una volta solo in caso di conflitto conclamato.Non è la prima volta che l’Italia avanza questa proposta in sede Nato, e finora è sempre stata rigettata. Se dunque il governo Meloni vorrà raggiungere i circa 45 miliardi di euro in spesa militare che metterebbero l’Italia in linea con gli obiettivi non vincolanti definiti in chiave Nato (e forse obsoleti, visto che già si parla di 3,5% o addirittura 5% sul Pil…), dovrà trovare fondi “reali” da mettere sul tavolo. Con il probabile taglio di altre voci di spesa nel bilancio dello Stato.