Il racconto di un'infermiera in prima linea del San Carlo di Voltri

L'infermiera del San Carlo di Voltri ha deciso di vivere in ospedale: "Proteggo la mia famiglia dal rischio contagio".

Iuna Crispo lavora come infermiera al San Carlo di Voltri e in questa emergenza si trova in prima linea.

Dopo il compleanno di suo figlio minore ha scelto di restare a dormire in ospedale per tutelare la salute della sua famiglia.

Il racconto di un’infermiera del San Carlo di Voltri

Non è stato facile per Iuna Crispo, 48 anni, infermiera nella rianimazione dell’ospedale San Carlo di Voltri decidere di non tornare più a casa dalla sua famiglia: “Ho deciso di dormire in ospedale perché uno dei miei bambini ha problemi respiratori – racconta – e ho troppa paura di portare il virus a casa: se si ammalasse non potrei vivere sapendo di averglielo attaccato, senza nemmeno potergli stare vicino in ospedale”.

Così la donna si è trasferita in ospedale: “Ma ogni giorno vado sotto casa, li vedo dalla finestra e mando bacini – spiega –.

Ci facciamo il nostro pianto e poi torno a essere l’infermiera che ho scelto di essere. La sera abbiamo appuntamento anche in videochiamata, ma quanto mi manca poterli stringere, per fortuna ho l’appoggio di mio marito: non potrei farcela senza i suoi incoraggiamenti e il suo sostegno”. I figli di 11 e 18 anni però capisco la situazione: “Sanno quello che sta succedendo e perché è importante che mamma stia in ospedale.

Vediamo sino a quando reggeranno, ogni tanto entrano in crisi”.

“Quando sono giù per l’assenza della mia famiglia – racconta l’infermiera – penso che sto aiutando le persone a stare meglio e la lontananza mi pesa meno. Del resto il mio non è un lavoro qualunque, ho scelto di essere infermiera di rianimazione, non ci sono capitata per caso. È impegnativo psicologicamente, ma si cerca in tutti i modi di aiutare i pazienti a superare questo momento difficile, con la vita legata a un filo sottile: siamo vicini, teniamo la loro mano e diamo conforto, anche se non sappiamo nemmeno se davvero se ne accorgono.

Ci rendiamo conto che la cosa più devastante di questa pandemia è essere lontani dai propri cari”.

Non è l’unica ad aver scelto di dormire in ospedale: “Eravamo già un bel gruppo, ora siamo una famiglia. Quando usciamo dal reparto siamo disidratati perché sudiamo parecchio, indossando i dispositivi di sicurezza. E così la caposala ci corre dietro per farci bere, si prende cura di noi come una mamma. E se un collega ha bisogno, chissenefrega della stanchezza, si fa doppio turno senza dire nulla”.