Femminicidi e figlicidi: un’escalation di violenza domestica che si potrebbe contrastare con terapie mirate

Ogni 55 ore si verifica un omicidio tra le mura domestiche, 2 su 3 sono donne (86 i femminicidi del 2020), più di 1 su 10 un minore. La terapia obbligatoria in fase di separazione potrebbe salvare molte vite

È di fine gennaio la notizia di un altro marito che ha ucciso la propria moglie, solo perché aveva espresso il desiderio di separarsi da lui e ricominciare una vita singolarmente e, aspetto ancora più inquietante, ha ucciso anche il proprio figlioletto.

Mi chiedo e chiedo a tutti voi perché così spesso questi uomini colpiscono anche i figli? Perché si sceglie consapevolmente di interrompere la vita di un essere innocente, che non ha deciso nulla e sta subendo passivamente una difficile e complessa situazione familiare?

Nel 2020 sono stati 86 i femminicidi, donne uccise di botte, a colpi di pistola o con armi da taglio, nella maggior parte dei casi per mano di uomini che avevano amato e che dicevano di amarle.

Un dato drammatico, che desta ancora più preoccupazione se consideriamo che le ultime rilevazioni Eures evidenziano un’escalation di violenza negli ultimi anni: ogni 55 ore si verifica un omicidio tra le mura domestiche, con una maggior incidenza al Nord, circa due terzi delle vittime sono donne, e nel 12,1% dei casi si tratta di figlicidi (il 6,2% ha meno di 5 anni).

Casi troppo numerosi per non porsi delle domande e valutare le circostanze che portano questi individui a porre fine alla vita di un minore o del/della partner.

Un fenomeno che sta divenendo preoccupante. E ripeto da anni che ci vuole più severità e rigidità nell’esaminare i casi di affido. Quando un genitore si separa è sempre una scelta dovuta a motivi validi e le responsabilità devono essere esaminate con scrupolo e attenzione.

Bisognerebbe, forse, nei casi più gravi di conflittualità e di non accettazione da parte di un coniuge della separazione, passare “obbligatoriamente” per una fase di terapia familiare e individuale per il soggetto non accettante della disgregazione.

In questo modo si tutelerebbero meglio il coniuge e i figli minori. Se il terapeuta individuasse nel soggetto una patologia o una non accettazione pericolosa per la salvaguardia familiare si dovrebbe allontanare con effetto immediato il soggetto e ci dovrebbero essere degli strumenti celeri e adeguati.

La materia familiare è troppo sottovalutata ed è lasciata, nella fase preliminare, solo alla competenza dei legali, che sono sempre in prima linea, rischiando talvolta anche di persona.

Certamente, noi Legali specializzati allorquando ci rendiamo conto di un problema serio, facciamo subito allontanare i soggetti che sono in pericolo, ma le richieste che depositiamo in Tribunale purtroppo vengono esaminate dopo mesi. Quando l’avvocato e la parte si rendono conto della pericolosità, ma non ha elementi oggettivi per richiedere l’allontanamento coatto, il ricorso viene esaminato almeno dopo due mesi dal Giudicante, e in questo tempo tutto può accadere!

Forse l’obbligatorietà del passaggio per un primo esame immediato attraverso un ufficio di terapia gestito all’interno del Tribunale che esamina a fondo dal punto di vista terapeutico il caso eviterebbe femminicidi e perdite premature di minori, salverebbe molte vite.

Esiste ad oggi una mediazione, ma non essendo obbligatoria non viene eseguita spesso.

Tentiamo di lavorare tutti in tal senso e diamo più importanza al diritto familiare, in modo che se un coniuge desidera separarsi lo possa effettuare senza paura per sé e per i suoi figli. Quello che stiamo vivendo ci dà un segnale allarmante, ma quel che è certo è che non stiamo proteggendo a sufficienza i minori.