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Delitto di Garlasco, dubbio contaminazione: il genetista Capra riaccende l’ombra di Ignoto 3

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La vicenda di Garlasco riapre con nuove analisi sul delitto. Il genetista Capra solleva il dubbio di contaminazioni, mentre la famiglia Poggi conferma l’assenza di terze persone coinvolte.

Una nuova ombra sul caso di Chiara Poggi. A distanza di 18 anni, la vicenda giudiziaria del delitto di Garlasco torna a far rumore, e forse anche a porre nuove domande.

Delitto di Garlasco, il genetista Capra solleva il dubbio della contaminazione

È stato definito “Ignoto 3” per il delitto di Garlasco. Un Dna maschile rinvenuto nel cavo orale della vittima, Chiara Poggi, e finito di nuovo sotto i riflettori.

A rilanciarlo è il genetista Marzio Capra, ex vicecomandante del RIS e oggi consulente della famiglia Poggi. Parla chiaro, Capra. Parla dei risultati ottenuti lunedì, durante l’incidente probatorio disposto dal gip di Pavia, Denise Albani. Al centro ci sono due garze. Su entrambe: tracce maschili. Deboli, infinitesimali, eppure sufficienti a scuotere equilibri che parevano già scritti. La quantità? Tra i 2 e i 4 picogrammi. “Meno di una cellula”, dice Capra. Ma ci sono.

Secondo lui, e secondo i Poggi, non si tratta di un Dna lasciato da un assassino sfuggito alle indagini. Si tratterebbe, piuttosto, di contaminazione. Un errore, forse. O una conseguenza di strumenti sporchi, bisturi già usati, pinze passate di mano in mano. Capra fa anche un nome. L’assistente del medico legale Dario Ballardini. Il profilo genetico trovato sulla prima garza sarebbe compatibile al 99% con il suo. La seconda? Un mix, dice, di due linee maschili diverse. Anche quella, in parte riconducibile a lui.

Delitto di Garlasco, confronto Dna in corso: esclusa la presenza di terzi soggetti secondo la famiglia

Per i genitori di Chiara, questa nuova pista del delitto di Garlasco non cambia nulla. Non c’è spazio per un terzo uomo. Nessun colpo di scena, nessun nome da aggiungere al registro degli indagati. Anzi. Le analisi servono, dicono, proprio a confermare l’ipotesi iniziale: la traccia maschile è frutto di un’infiltrazione postuma, avvenuta chissà dove – forse durante l’autopsia, forse nel trasporto della salma, forse nella sala autoptica, mentre ferri contaminati toccavano corpi e poi altri corpi. Non una scena del crimine. Un errore umano.

E per togliere ogni dubbio, ci sarà ora una comparazione con il Dna di una trentina di persone: tecnici, medici, operatori. Tutti quelli che, a vario titolo, hanno avuto accesso al corpo. E Andrea Sempio? Archiviato. Capra lo dice senza mezzi termini: “Nessuna compatibilità”.

Resta però quell’ipotesi finale. Forse scomoda. Forse troppo inquietante per essere detta a voce alta. Che quella traccia – così leggera, così invisibile – arrivi da un altro cadavere. Già esaminato. Con gli stessi strumenti. Nella stessa stanza.