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Femminicidio a Foggia: perché il sistema fallisce le vittime

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La morte di Hayat Fatimi è l'ennesimo triste esempio di un sistema che non protegge le donne dalla violenza.

Diciamoci la verità: l’omicidio di Hayat Fatimi è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Una donna marocchina di 46 anni, uccisa nel cuore della notte, a pochi passi dalla sua casa. Non può e non deve essere solo un numero in una statistica. La sua storia, purtroppo, è una di quelle che si ripetono, segnata da denunce ignorate e da un sistema che si dimostra insufficiente a proteggere chi ha già gridato aiuto.

La tragica vicenda di Hayat Fatimi

Il 6 agosto scorso, Hayat Fatimi è stata accoltellata a morte in un vicolo di Foggia. Questa donna aveva denunciato il suo ex compagno per stalking e minacce, un rapporto che si era trasformato in un incubo da cui sembrava impossibile fuggire. Nonostante avesse richiesto aiuto al centro antiviolenza “Telefono Donna” e fosse stata classificata come ad alto rischio, Hayat non ha trovato la forza di allontanarsi dalla sua città. Ma ci chiediamo: cosa significa davvero la protezione per le donne in situazioni di pericolo? È sufficiente? Cosa devono affrontare prima di sentirsi al sicuro?

Le indagini hanno rivelato un quadro allarmante: il suo ex compagno era già noto alle autorità per comportamenti persecutori, eppure l’atto di protezione previsto dal “codice rosso” non è stato applicato a causa di problemi tecnici. Un provvedimento di divieto di avvicinamento con braccialetto elettronico era stato emesso, ma non attuato. Questo ci fa riflettere sull’efficacia delle misure di sicurezza attualmente in vigore e sulla loro reale applicabilità. Fino a quando dovremo aspettare perché qualcosa cambi?

Statistiche e realtà scomode

Se guardiamo i dati dell’Istat, nel 2022 in Italia si sono registrati oltre 100 femminicidi. Eppure, le risposte istituzionali continuano a essere insufficienti. Nonostante i vari protocolli e le leggi, donne come Hayat continuano a cadere vittime di un sistema che, per quanto possa sembrare protettivo, lascia troppo spazio all’imprevedibilità della violenza. È un paradosso che deve farci riflettere: ci sono davvero le risorse e la volontà per cambiare le cose?

Il caso di Hayat Fatimi è emblematico di una realtà che non possiamo ignorare: le donne denunciano, ma il sistema non sempre è in grado di fornire la protezione necessaria. È una questione di priorità? O di risorse insufficienti? Forse entrambe. L’assenza di un supporto concreto per le vittime di violenza domestica è una falla che non possiamo più tollerare. Quante altre Hayat dobbiamo piangere prima che si faccia qualcosa di serio?

Una conclusione che disturba

La morte di Hayat Fatimi non è solo una tragedia personale, ma un fallimento collettivo. Ci interroga su cosa sia davvero cambiato nel nostro approccio alla violenza di genere. Siamo disposti a riconoscere che il sistema, così com’è, non funziona? Oppure preferiamo continuare a girarci dall’altra parte, con la scusa che “tanto non può capitare a noi”? La realtà è meno politically correct: ogni giorno, una donna vive ciò che Hayat ha subito, e troppe volte non trova il coraggio di chiedere aiuto, oppure, quando lo fa, non riceve le risposte che merita.

Invitiamo tutti a riflettere su quanto accaduto e a non lasciare che il caso di Hayat Fatimi diventi solo un’altra storia dimenticata. È tempo di esigere un cambiamento reale, di chiedere una revisione del sistema che deve garantire non solo la sicurezza, ma anche il rispetto per la vita di ogni donna. Non possiamo più permetterci di voltare le spalle a questa realtà. È ora di agire!