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Il Governo cambia tutto, nuova riforma per i pensionati: dal prossimo anno serviranno nuovi requisiti

novità pensionati 2026

Il Governo pare stia pensando a una riforma strutturale delle pensioni, in modo da superare la Legge Fornero

Attesi grandi cambiamenti per le pensioni a partire dal 2026. Ecco tutto quello che occorre sapere sulla nuova riforma.

Si torna a parlare della riforma delle pensioni e lo scenario che si profila potrebbe segnare una svolta significativa. Tra ipotesi e voci sempre più insistenti, dal 2026 potrebbe diventare realtà l’uscita dal lavoro a 62 anni ma con nuove condizioni d’accesso rispetto alle attuali misure transitorie.

Attualmente, la pensione di vecchiaia è accessibile a 67 anni con almeno 20 anni di contributi versati. Essitono già come sappiamo, diverse soluzioni per chi vuole anticipare il ritiro dal lavoro, come la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contibuti per le donne) oppure opzioni come Quota 103. Queste vie, però non sempre risultano semplici da percorrere.

Ed è proprio questo il punto: il sistema attuale è frammentato, instabile, ci sono molte incertezze da parte dei lavoratori che si chiedono quando e come potranno finalmente andare in pensione. Orientarsi tra le diverse opzioni può infatti essere difficile.

Il Governo si attiva

L’obiettivo del Governo Meloni sarebbe quello di superare gradualmente la controversa Legge Fornero introducendo pian piano una riforma strutturale del sistema pensionistico.

Secondo indiscrezioni sempre più frequenti (non v’è infatti, ad oggi, alcuna certezza) l’idea sarebbe quella di permettere l’uscita a 62 anni senza quote o vincoli rigidi ma con un calcolo interamente contributivo. In pratica, chi sceglierà di ritirarsi prima dei 67 anni dovrà accettare che l’importo della propria pensione venga determinato esclusivamente sulla base dei contributi versati, senza alcuna integrazione al minimo da parte dello Stato.

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Il vantaggio per le finanze pubbliche è evidente: lo Stato non sarebbe più tenuto a sostenere economicamente pensioni inferiori a determinati livelli. Questo modello piace al MEF, che intravede nella misura un modo per ridurre il carico pensionistico nel medio-lungo termine, ma non mancano le criticità.

L’altro lato della medaglia

Chi ha avuto carriere discontinue, contratti precari o salari bassi rischierebbe, con questa riforma, di ritrovarsi a percepire pensioni ben al di sotto della soglia di didgnità economica. In altre parole, se così fosse, si allargherebbe il divario tra chi ha avuto percorsi remunerativi stabili e chi invece ha affrontato maggiori difficoltà nel mondo del lavoro.

Ecco perché, accanto alla proposta di pensionamento a 62 anni, si torna a discutere di strumenti di supporto per le categorie più fragili, come lavoratori usuranti, donne con carichi familiari, caregiver e disoccupati di lunga data. La sfida rimane quella di mantenere un equilibrio tra sostenibilità economica e giustizia sociale.

Per il momento, comunque, nessuna decisione è definitiva. Il Governo sembra deteminato a imprimere un cambiamento, resta da vedere come e quando.