Milano, 13 mag. (Adnkronos) – La Procura di Milano è a lavoro per studiare le relazioni del carcere di Bollate, ma anche per ricostruire eventuali omissioni nelle ore di lavoro esterno che hanno riguardato Emanuele De Maria, il detenuto che si è ucciso domenica scorsa gettandosi dal Duomo dopo aver ucciso la collega Chamila Wijesuriyauna e aver accoltellato gravemente un collega.
Il pm Francesco De Tommasi, che ha aperto un nuovo fascicolo per gli accertamenti del caso, ha acquisito tutte le relazioni che sono state redatte da quando l'uomo, in carcere per un femminicidio, ha avuto accesso al lavoro esterno secondo l'articolo 21 della legge sull'ordinamento penitenziario. Un accesso al lavoro esterno dopo aver scontato cinque dei 14 anni e 3 mesi di condanna per omicidio (rito abbreviato), come prevedono le norme.
Durante il lavoro esterno il detenuto è tenuto a seguire una serie di prescrizioni su mezzi da utilizzare per raggiungere il lavoro, orari di rientro in carcere, comportamenti con i colleghi e puntualità che pesano – insieme alle relazioni delle psicologhe – sul suo percorso in vista della piena libertà. Se nel comunicato della Corte d'Appello e del Tribunale di Sorveglianza si fa riferimento a un "percorso carcerario che si è mantenuto sempre positivo anche durante i due anni di lavoro presso l'albertgo Berna" in via Napo Torriani, è su questi 24 mesi che la Procura cerca di fare ordine per capire se qualche "sottovalutazione" si è verificata.
Era stata la direzione del carcere di Bollate a chiedere al Tribunale di sorveglianza di Milano l'autorizzazione per lavorare alla reception dell'albergo, data la sua conoscenza delle lingue. Struttura che venerdì scorso quando il 35enne non si è presentato ha fatto scattare subito l'allarme. Sulle discussioni all'interno dell'hotel – che potrebbero essere avvenute, ma mai comunicate né ai vertici dell'albergo né al carcere – la Procura e la polizia ha già iniziato a indagare sentendo alcuni dei colleghi, tra cui l'uomo ferito e ricoverato al Niguarda. Le indagini vogliono accertare che nessun eventuale segnale sia stato ignorato e che questo episodio non metta in discussione lo strumento del lavoro esterno. Finora nessun elemento lascia ipotizzare che ci sia stato un errore dai soggetti intervenuti nel processo di rieducazione – per la Sorveglianza "nulla poteva lasciare presagire l'imprevedibile e drammatico esito" -, ma su questo potranno far luce eventualmente anche gli ispettori del Ministero della Giustizia.