Roma, 9 giu. (Adnkronos) – Che l’Italia sia un Paese con una forte criticità in ambito demografico non è una novità: i dati Istat più recenti (marzo 2025) confermano un continuo e preoccupante invecchiamento della popolazione italiana con appena 370mila bambini nati nel 2024, una diminuzione del 2,6% rispetto al 2023 e un nuovo minimo storico per la fecondità, pari a 1,18 figli per donna.
Ma ciò che fino ad oggi è rimasto meno visibile è che le motivazioni della poca propensione alla natalità dei giovani non siano da ricercare soltanto nella difficile fase economica che stiamo attraversando, ma anche in fattori culturali, sociali e relazionali più complessi. Lo sottolinea in una nota la Fondazione Magna Grecia secondo la quale questi fattori sono "interessanti da studiare in correlazione con quelli che saranno gli effetti socioeconomici della denatalità, soprattutto se si vuole affrontare con positività il futuro. La propensione alla genitorialità appare condizionata dalla voglia di crescere investendo su se stessi e sul proprio tempo, ma non solo".
“La questione va affrontata nella sua totalità, se si vogliono trovare soluzioni. La nostra ricerca analizza idee, opinioni e percezioni dei giovani in materia, e vuole contribuire alla comprensione del fenomeno per chi prende decisioni in materia”, ha spiegato Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia (fondazione che da quarant’anni fa della ricerca il suo cuore pulsante, in collaborazione con atenei, istituzioni, mondo del terzo settore, enti pubblici) in una conferenza stampa che si è tenuta oggi, nella Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio, alla presenza della ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella.
Lo studio conferma e radicalizza un tema: “Per fare famiglia ci vuole famiglia”. Chi decide di fare i figli pone al centro, come elemento condizionante, la presenza forte della propria famiglia di origine a cui appoggiarsi. Il desiderio di avere dei figli esiste ed è forte fra i giovani (per il 59,4% sarà una tappa fondamentale nella propria vita di coppia), ma la sua realizzazione è spesso condizionata dall’aiuto che potranno ricevere dai genitori. Ma una robusta ‘rete salvagente’ familiare se da un lato è il primo supporto alla nascita di una famiglia con figli, dall’altro frena la voglia di quei giovani che non vogliono abbandonare il “nido” (è la famiglia la parte più soddisfacente della propria esistenza per il 42%) – e che spesso non possono farlo per mancanza di risorse – anche a causa di una profonda sfiducia nel supporto esterno, terzo settore compreso.
Inoltre, i nostri giovani non diventano “genitori per caso”: chi decide di avere un figlio lo fa per una “forte propensione” (46,4%) e giudica in modo molto negativo chi lo fa senza avere la giusta condizione economica. Fare figli non è più un destino, ma un progetto che spesso viene accantonato non solo per motivi economici ma anche per il timore di compromettere il proprio sviluppo individuale: non si è disposti a rinunciare alla ricerca della solidità economica (49,5%), di un lavoro soddisfacente (33,4%), di una relazione di coppia stabile (38,4%) e di tempo a disposizione (33,6%).
Il fattore tempo ha poi un peso ancora più significativo rispetto al passato: elementi spartiacque sono infatti la realizzazione delle passioni personali (43,6%), così come, più marginali ma presenti, un depauperamento della quantità e della qualità del tempo libero per poter stare con gli amici, dedicare spazio a se stessi, partecipare ad eventi culturali o sportivi, viaggiare e praticare proprie passioni. Rispetto al passato – inoltre – una famiglia senza figli viene considerata ugualmente una famiglia. Soprattutto dalle donne, che vorrebbero facilitare le adozioni (41,5%), e che prendono le distanze dalla necessità di diventare genitrici per corrispondere al problema della decrescita demografica (4%), aspetto al contrario più avvertito negli uomini (9,1%).
Per i nostri giovani, dunque, se la denatalità è un problema sociale, fare figli è una questione totalmente privata e non una responsabilità collettiva. Le giovani donne, soprattutto, temono di più di “pagarla” in termini lavorativi. Il tema cruciale, per il presidente della Fondazione Magna Grecia, è quello di affrontare la denatalità in modo forte anche nei suoi impatti: “La denatalità mette sotto pressione il patto sociale tra generazioni, per questo è urgente studiare come gestirne gli effetti. Il tema della longevità è centrale: vanno pensati nuovi modelli di sviluppo territoriale ed economico, anche per le aree interne. Siamo il paese “più anziano” d’Europa, e fra i primi al mondo per longevità: se non impariamo a guardare a questo anche in chiave di opportunità perdiamo un’occasione fondamentale di crescita”, conclude.
In tal senso, con un nuovo “Osservatorio permanente su Denatalità, sostenibilità intergenerazionale e longevità”, la Fondazione intende aprire nuovi percorsi di ricerca e dibattito approfondendo per lo più quattro ambiti: invecchiamento attivo e silver age economy, la longevità considerata come leva trasformativa per ripensare la cittadinanza, il lavoro, l’economia, le politiche abitative e la partecipazione sociale; nuovi modelli di welfare che superino il “modello mediterraneo” basato principalmente sulla famiglia, ridistribuendo le responsabilità di cura e protezione sociale anche al di fuori del nucleo familiare, per alleggerire il carico sulle donne, ma anche sperimentazioni di welfare comunitario, housing collaborativo e di gestione e intervento per mezzo di sistemi per la salute digitale e di Ia; una nuova narrazione per la genitorialità, campagne di comunicazione e sensibilizzazione che sfatino gli stereotipi, introducendo una visione più inclusiva e plurale per cambiare la percezione culturale della genitorialità da onere a opportunità.
Ancora, interventi che valorizzino il ruolo dei nonni e delle reti di prossimità nel supporto alla genitorialità e all’invecchiamento attivo, anche individuando politiche e interventi inediti ad hoc che facilitino l’alleanza intergenerazionale.
“L’analisi profonda delle cause delle denatalità è importante non solo per comprendere meglio l’epoca e la società in cui viviamo, ma anche perché una diagnosi corretta è fondamentale per mettere in campo le terapie giuste. Il governo sta investendo sull’emergenza demografica con risorse e azioni politiche, nella consapevolezza che i fattori economici sono importanti per la condizione di ciascuna coppia ma, come i dati internazionali dimostrano, non sono indipendenti dai fattori culturali. Anzi, la denatalità nel mondo cresce di intensità proprio laddove sono maggiori i tassi di sviluppo. ‘Conoscere per deliberale’ significa dunque innanzi tutto approfondire e capire, perché anche le scelte economiche dei governi si inseriscono in una visione culturale che deve restare la bussola di fondo”, ha dichiarato ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella.