Picchiato con pugni e con un tubo di metallo e plastica solo per aver chiesto di essere pagato. È quanto ha raccontato un operaio che ha denunciato le condizioni disumane a cui era costretto in uno degli opifici cinesi coinvolti nella produzione di capi per Loro Piana spa, un marchio del lusso italiano.
“Colpito con un tubo”: la denuncia dell’operaio picchiato in un opificio collegato a Loro Piana
Proprio ieri, lunedì 14 luglio, è stata resa pubblica la notizia che Loro Piana spa è finita sotto amministrazione giudiziaria. Secondo quanto riferito, non avrebbe controllato a dovere i fornitori, alcuni dei quali operavano in condizioni riconducibili al caporalato e allo sfruttamento lavorativo. La produzione, infatti, era stata esternalizzata a un’azienda che a sua volta l’aveva subappaltata più volte, fino ad arrivare a una rete intricata di opifici gestiti da soggetti cinesi. Ed è lì, in quegli ambienti nascosti e lontani dai riflettori del brand, che venivano realmente cuciti i capi del prestigioso marchio. La Sezione misure di prevenzione del Tribunale è stata chiara: Loro Piana “non ha effettivamente controllato la catena produttiva” e non avrebbe messo in campo “una struttura organizzativa adeguata a impedire il sorgere e consolidarsi di rapporti commerciali con soggetti operanti in regime di sfruttamento dei lavoratori”. L’azienda, da parte sua, ha dichiarato la volontà di collaborare con le autorità e ha fatto sapere di aver scoperto l’esistenza di alcuni subfornitori soltanto il 20 maggio. Da quel momento, ha spiegato, avrebbe interrotto “ogni rapporto con il fornitore coinvolto in meno di 24 ore”.
Il racconto dell’operaio picchiato in un opificio legato a Loro Piana
A far partire l’indagine, un racconto agghiacciante. L’operaio aggredito ha denunciato di aver accettato, nel 2015, un impiego presso uno degli opifici poi finiti sotto inchiesta. Aveva concordato un compenso mensile di 1.500 euro per “svolgere l’attività di sarto”. Secondo quanto dichiarato, esisteva anche un contratto di lavoro, ma “il sottoscritto non è in possesso di alcuna copia”. Quel contratto avrebbe previsto quattro ore giornaliere, ma la realtà era ben diversa: “dalle 9 del mattino alle 10 di sera”, con appena “mezz’ora di pausa per il pranzo e mezz’ora di pausa per la cena”. Nessun giorno libero, pagamento spesso in contanti. Sempre dal 2015, ha raccontato, viveva in un “dormitorio attiguo alla fabbrica” situato a Baranzate, alle porte di Milano. Da fine 2024, il salario non è più arrivato. Le richieste di pagamento hanno portato prima a tensioni, poi a una vera e propria aggressione. Il titolare, secondo quanto riferito, lo ha colpito con un pugno, poi con un tubo di plastica e alluminio: “L’aggressione proseguiva e solo diverse ore dopo e dopo aver cercato di dissuadere il dipendente a ricorrere alle cure mediche, il datore di lavoro accompagnava il denunciante al pronto soccorso”. Ma non era l’unico in quella situazione. Nell’opificio c’erano almeno altri nove operai, tutti senza permesso di soggiorno e pagati in nero. E il clima, anche per loro, era di costante paura. Il capo, ha raccontato la vittima, li aveva istruiti su cosa fare in caso di controlli: “nascondersi al terzo piano dell’edificio adibito a dormitorio o usare le scale”.