Andrea Dara, uno dei deputati che hanno ottenuto il bonus di 600 euro destinato alle partite iva, si difende dalle accuse affermando di non averlo chiesto personalmente.
L’erogazione dell’importo è infatti avvenuta su un conto controllato dalla madre che avrebbe effettuato la richiesta su proposta del suo studio fiscale.
Bonus deputati: la difesa di Andrea Dara
“Non ho richiesto nulla personalmente e ho sostenuto di tasca mia i lavoratori e i fornitori della mia azienda“. Inizia così la ricostruzione del parlamentare leghista dopo che il partito ha decretato la sospensione sua e di Elena Murelli. Dara ha spiegato di essere socio, insieme alla madre, in una Società in Nome Collettivo (SnC), in cui si occupa della sola parte commerciale.
A lui sono intestati due conti correnti: uno su cui viene accreditato lo stipendio da parlamentare e uno dedicato all’accredito di alcuni affitti derivanti dall’eredità del padre. Un conto, quest’ultimo, gestito e controllato direttamente dalla madre.
Dato che durante il lockdown la società aveva bisogno di liquidità, lo studio fiscale ha proposto alla madre di richiedere il bonus di 600 euro. L’accredito è avvenuto sul conto corrente dedicato agli affitti ed è andato direttamente alla società per coprire emergenze nei pagamenti di dipendenti e fornitori.
Il deputato ha sottolineato che “della richiesta specifica del bonus e del suo accredito io non ho avuto informazione e/o evidenza“. Di contro, ha continuato, ha provveduto a utilizzare i suoi emolumenti per evitare “un indebitamento costoso come quello offerto dal governo e per far fronte agli stipendi e ai contributi dei nostri collaboratori“. Ha infine ribadito di non essere responsabile di alcun tipo di reato né illecito amministrativo perché a prevedere la richiesta del bonus senza paletti era la legge stessa.